Storia completa del clan “vietato agli Allen”
Tutta la verità sui motivi dell’astio fra gli ex Celtics del 2000 e Ray Allen
Domenica sera i Boston Celtics hanno celebrato Paul Pierce, capitano di mille battaglie, con uno dei più grandi onori che una franchigia possa riservare ai propri miti. Il #34 di The Truth è infatti stato issato sul soffitto del TD Garden, un Olimpo in cui risiedono i numeri di leggende bostoniane come il #6 di Bill Russell, il #14 di Bob Cousy e il #33 di Larry Bird. Erano presenti alla cerimonia Rajon Rondo, Kevin Garnett e coach Doc Rivers, oltre al festeggiato Pierce. Ray Allen è stato ancora una volta il convitato di pietra della situazione a causa del suo status di persona non grata. Non è la prima volta che Jesus Shuttlesworth viene escluso da eventi e ritrovi che riguardano quel particolare gruppo di giocatori. È quindi il caso di riavvolgere il nastro e capire come si è giunti a questa sorta di guerra fredda fra ex compagni di squadra. Tutto ha inizio nell’estate del 2007 con gli arrivi via trade di KG e Allen. I due, uniti a Pierce, riportarono in auge a Boston la nobile etichetta di Big Three – oggi termine usato a sproposito in tutta la NBA, ma allora ancora termine “sacro” e riservato unicamente ai C’s di Bird, Parish e McHale. Con tanti giocatori nuovi in squadra, coach Rivers intuì la necessità di amalgamare il gruppo fin da subito. In questo senso, decisivo fu il viaggio a Roma in preseason. Oltre che dalle lunghe chiacchierate sugli scalini di piazza di Spagna, le vacanze romane della squadra furono contraddistinte da un mantra ripetuto da Doc Rivers fino allo sfinimento. Ubuntu. Nella lingua africana Bantu, Ubuntu è traducibile con “io sono perché noi siamo.” In altre parole, la forza del singolo è tale solo all’interno di un gruppo forte. Questa formula esoterica fu il collante decisivo che portò i Celtics in un solo anno dall’ultimo nella Eastern Conference alla vittoria delle NBA Finals 2008.
Nonostante l’ottimo rendimento di anno in anno, i nuovi Big Three non riuscirono a replicare il numero di allori dei loro predecessori. Prima gli Orlando Magic nel 2009 e poi i Los Angeles Lakers nel 2010 impedirono loro il bis. Nell’estate di quello stesso anno, LeBron James annunciò in diretta nazionale la volontà di portare i suoi talenti a South Beach. L’unione di LBJ con Dwyane Wade e Chris Bosh formò dei Big 3 alternativi e questo complicò ulteriormente i sogni di gloria del terzetto bostoniano. Se infatti fin lì i Celtics erano riusciti a più riprese ad avere la meglio sui Cavs di James, di lì in avanti questi furono costantemente annientati dagli Heatles ai playoff. Dall’esterno in molti pensavano che fosse la fine di un’era, ma i membri dei Celtics erano ancora speranzosi di poter mettere insieme un’ultima cavalcata per il titolo. Questa opinione non era condivisa da Ray Allen, che, in una mossa a sorpresa, nell’estate del 2012 lasciò i Celtics proprio per accasarsi a Miami. Questo voltafaccia sconvolse gli ex compagni di squadra, che ancora a distanza di quasi sei anni non hanno perdonato il tradimento. Almeno questa era la prospettiva loro e dei fan.
Per Allen, al contrario, la sua era una decisione quasi obbligata. Da tempo, infatti, a livello tattico l’ex Seattle si era sentito ai margini della squadra per ruolo, minutaggio e schemi. Per di più, fin dal suo arrivo in Massachusetts, quasi ad ogni finestra di mercato Allen era stato al centro di possibili trade con Houston (2008), Phoenix e Pistons (2009), Knicks (2010) e infine Grizzlies (2012). In definitiva, tutto ciò contribuì ad alienare Allen e, quando giunse il momento della sua free agency, le sensazioni divennero certezze. Di fronte a quello che giudicò un contratto irrispettoso (il biennale da $6M a stagione lo avrebbe reso appena il quinto membro dei Celtics più pagato), il giocatore preferì accettare il triennale da $3M di Miami. Il distinguo non stava tanto nella remunerazione, ma nel voler trovare un progetto che lo apprezzasse e gli desse buone chance di titolo. Titolo che infatti arrivò nel 2013, con Ray Allen protagonista nel decisivo tiro dal perimetro che pareggiò la partita contro i San Antonio Spurs nella fondamentale Gara 6. La vittoria di Allen fu anche la sconfitta di Boston. Quella stessa estate Doc Rivers andò ai Clippers, mentre KG e Pierce furono spediti ai Nets. Appena un anno dopo, Rondo fu scambiato coi Mavs, operazione che certificò lo smembramento definitivo del gruppo del titolo del 2008.
Anche separati, l’astio nei confronti di Allen li tenne uniti nel tempo e nello spazio. Se questa storia fosse una sitcom, si intitolerebbe Non Tutti Amano Ray. Anzi, quasi nessuno. Nel maggio 2017 i senatori di quei Celtics si ritrovarono in onore del decennale dal titolo ad Area 21, lo studio tv di KG su TNT. Il gruppo però sembrava più unito dal risentimento per Allen che dalla gioia del titolo. Stando alle loro parole, a ferirli più di tutto fu la mancata comunicazione di Allen circa la sua volontà di cambiare aria. La reale causa del loro ostracismo però sono altre. L’approdo di Allen ai nemici giurati degli Heat fu il vero schiaffo. Non solo ciò indebolì Boston, ma potenziò i principali rivali. Ciò che è peggio, questi fu in grado di aggiungere un secondo anello alle dita, mentre tutti gli altri sono rimasti fermi a uno. Esiste infine un’ultima motivazione che ha contribuito a spargere veleno fra le parti. Allen è stato l’unico di quei Celtic a poter scegliere il suo destino. Al contrario, chi prima e chi poi, tutti gli altri sono andati via da Boston perché scambiati da una società che non li riteneva più indispensabili. La nota trade di Isaiah Thomas dai Celtics ai Cavs dello scorso agosto è stata occasione per Allen di ripetere il suo pensiero: nello sport il concetto di lealtà è ammantato di grande ipocrisia. Le sue parole non hanno però trovato nei suoi ex compagni interlocutori interessati. Il che ci riporta a questo febbraio e all’ennesima occasione sprecata di arrivare al disgelo. La prossima occasione per seppellire l’ascia di guerra potrebbe giungere a settembre, quando lo stesso Allen dovrebbe fare il suo ingresso nella Hall of Fame e starà a lui estendere determinati inviti. Sarà la volta buona?
MVProf