Uomini che odiano le donne I
John McEnroe torna a far parlare di sé, questa volta rilasciando dichiarazioni pungenti nei confronti di Serena Williams – e sì, è assolutamente serio
La scorsa settimana l’ex pluri-decorato tennista John McEnroe ha rilasciato un’intervista alla NPR, la radio pubblica americana, per promuovere il suo nuovo libro intitolato “But Seriously.” All’interno di una conversazione di circa 8 minuti ha avuto grande risalto mediatico la dichiarazione di McEnroe secondo cui Serena Williams sarebbe solo la 700° in classifica fra gli uomini. Ci sono molti modi per leggere una notizia e questo caso mediatico ne è un ottimo esempio. Un titolo sensazionalistico come “McEnroe dice che la Williams è la 700° migliore tennista del mondo” farebbe infuriare in molti. E giustamente. Forse è da un titolo di questo tipo che è derivata la risposta piccata della diretta interessata. In due tweet dritti al bersaglio la Williams ha invitato McEnroe a non parlare di ipotesi non sostenute dai fatti e tenerla fuori dalle sue dichiarazioni ora che è ormai prossima al parto.
Un altro modo per leggere la notizia (questa e tutte in generale) è quella di leggere con attenzione le parole e avere uno sguardo d’insieme su ciò che queste dichiarazione hanno seguito e preceduto. Poco prima di trattare l’argomento Serena, McEnroe aveva lamentato lo stato di crisi attuale del tennis in America. Dopo aver dato conto dei problemi del movimento maschile, la conversazione è virata su Serena Williams. L’intervistatrice ha citato un passaggio dal libro di McEnroe stesso in cui questi definisce la Williams la migliore giocatrice femminile del mondo. Egli ha addirittura allargato la portata del complimento, elevandola al rango di migliore giocatrice femminile di sempre. Già il fatto che l’ex “SuperBrat” abbia esaltato la Williams in quanto unico faro nell’altrimenti tragico panorama americano dovrebbe far riflettere che per lui la questione tennistica era da intendere nel suo insieme e non in maniera discriminatoria o sessista.
La domanda successiva, però, è stata quella che ha dato il via ad una controversia che da innocente sta ora avendo un effetto valanga. Lulu Garcia-Navarro – questo il nome della giornalista – ha infatti chiesto per quale motivo sia necessario puntualizzare la componente “femminile” rispetto a quella di “migliore.” Stando a quest’ultima alcune persone definirebbero la Williams la migliore del mondo e basta. La risposta di McEnroe è stata candida quanto forse, nella sua immediatezza, un po’ ingenua. Puntualizzare la differenza tra tennisti e tenniste è necessario: se la Williams giocasse costantemente ogni singolo torneo all’interno del circuito maschile, ha risposto l’ex campione, lei sarebbe la numero 700. Il che è ben diverso dall’affermare che la Williams sia una tennista di poco valore, come appunto una lettura rapida avrebbe potuto suggerire. Qui di seguito il transcript originale della conversazione:
Garcia-Navarro: We’re talking about male players but there is of course wonderful female players. Let’s talk about Serena Williams. You say she is the best female player in the world in the book.
McEnroe: Best female player ever — no question.
Garcia-Navarro: Some wouldn’t qualify it, some would say she’s the best player in the world. Why qualify it?
McEnroe: Oh! Uh, she’s not, you mean, the best player in the world, period?
Garcia-Navarro: Yeah, the best tennis player in the world. You know, why say female player?
McEnroe: Well because if she was in, if she played the men’s circuit she’d be like 700 in the world.
Dopo la controversa parte dell’intervista (ironicamente intitolata dalla Garcia-Navarro “Il grande tennista McEnroe alla ricerca della propria ‘pace interiore'”), pochi avranno letto la precisazione che McEnroe ha fatto seguire alle sue dichiarazioni antecedenti. “Serena potrebbe battere alcuni di loro ogni giorno della settimana. Ne sono certo perché lei ha un’incredibile forza mentale che potrebbe permetterle di superare delle situazioni in cui altri perderebbero il controllo, perché lei ha vissuto quei momenti così tante volte, a Wimbledon, US Open, ecc… Ma se dovesse giocare nel circuito maschile – quella sarebbe una storia completamente diversa.”
Nonostante l’attenzione sia stata riversata totalmente sulle parole di McEnroe, quasi nessuno ha dato importanza a quelle della Garcia-Navarro. Una delle regole d’oro del giornalismo è quella di porre domande che non siano pre-impostate al fine di guidare la risposta dell’intervistato. Dovrebbero essere le risposte a guidare le successive domande e non il contrario; la Garcia-Navarro pare invece aver dimenticato in toto questa nozione. La dichiarazione che ha scatenato l’ira della Williams – e non solo – è figlia di una domanda tendenziosa che implicava che “alcuni” potrebbero definire la Williams la migliore senza distinzioni di genere. Il che a una rilettura anche veloce risulta chiaro volesse indicare l’opinione personale della giornalista. Per onestà intellettuale avrebbe forse dovuto dire “io credo” invece di dire “alcuni direbbero.” Ma questo altro non fa che indicare la rottura di una seconda regola d’oro del giornalismo, ovvero l’essere competenti nel campo in cui si va di volta in volta a lavorare. Stando al suo profilo Twitter, la Garcia-Navarro è stata una corrispondente estera in Brasile, Iraq, Messico e Medio Oriente. Non è menzionato alcun legame diretto col mondo dello sport né il resto del suo profilo contiene tweet scritti o retwittati a proposito di esso.
Quello che invece traspare è il profilo di una giovane donna liberale, femminista e anti-trumpista. Tutte qualità lodevoli ma che idealmente non dovrebbero entrare nella vita lavorativa di una persona dalla porta principale, al punto di incanalare delle interviste al fine di perseguire i propri fini personali. Infatti il paradosso è che quello che si è verificato è il contrario di ciò che solitamente accade con questo tipo di interviste. Di solito, quando una personalità alla ricerca di un salto indietro nel tempo ai giorni vissuti sulla cresta dell’onda viene intervistata, questi se ne esce con qualche frase controversa e ad effetto. Oscar Wilde diceva che non importava che se ne parlasse bene o male, ma che se ne parlasse. A seguire questa strada, alcuni mesi fa, è stato ad esempio l’ex coach NBA di Denver e Sacramento George Karl, che nel rilasciare estratti dal suo nuovo libro “Furious George” aveva sparato bordate a Carmelo Anthony, DeMarcus Cousins e svariati altri atleti. Queste citazioni controverse hanno certamente ridato voce ad un allenatore sì fra i più vincenti della storia della NBA, ma il cui libro sarebbe altrimenti uscito sotto un lecito silenzio generale.
In realtà, quanto accaduto con McEnroe è l’opposto. Egli non era apparso alla ricerca di attenzioni particolari, ma al contrario è apparsa essere la Garcia-Navarro quella a volere intavolare la conversazione in un campo minato di dichiarazioni controverse. Nel prosieguo dell’intervista, la giornalista ha citato il presidente USA Donald Trump come uno dei molti uomini che negli anni avrebbero voluto vedere McEnroe sfidare a tennis Serena. Può essere lecito intravedere un’implicazione – non immediata in primis ma riscontrabile a posteriori – di associare Trump, noto per le sue dichiarazioni tutt’altro che gentili nei confronti delle donne, a McEnroe per quanto appena detto in precedenza. Questi è apparso invece ricco di humor e autoironia, non tardando a definirsi ormai una “vecchia ciabatta” dal punto di vista tennistico e in grado di competere con la Williams solo ora che è incinta quasi all’8° mese. La Garcia-Navarro è parsa non cogliere l’ironia della risposta e ha domandato una seconda volta se egli credesse sul serio di poter sconfiggere la Williams alla soglia dei 60 anni. “Da come lo dice pare che lei abbia dei dubbi a riguardo,” ha detto McEnroe sornione.
Il ricorso storico che non può non balzare alla mente è quello relativo all’incontro del 1973 fra Bobby Riggs e Billie Jean King, passato alla storia come “La battaglia dei sessi.” Definito giustamente dalla Garcia-Navarro come uno degli incontri di tennis più iconici della storia di quello sport, resta un evento con molte luci e ombre, a seconda dell’angolazione con cui lo si guardi. Nei primi anni ’70 Bobby Riggs, ex numero 1 al mondo negli anni ’40, sfidò all’età di 55 anni le migliori tenniste del circuito, al fine di dimostrare che anche alla soglia dell’età pensionabile avrebbe potuto agevolmente sconfiggere la crème della WTA. Di Riggs si può a pieno titolo parlare di aperto sessismo, date le sue dichiarazioni secondo cui il ruolo della donna era solo quello di alternarsi fra cucina e camera da letto. Il primo incontro contro la #1 al mondo Margaret Court ebbe vita breve e Riggs vinse sul velluto per 6-2, 6-1. Quattro mesi più tardi fu appunto il turno della King, #2 al mondo e sfidante originale di Riggs: questa accettò solo al secondo invito, convinta da un’offerta economica difficilmente rinunciabile. Circa la serietà della gara, varrebbe la pena premettere che la King e Riggs entrarono sul campo di Houston circondati rispettivamente da un gruppo di energumeni in topless e da un nugolo di modelle che indossavano magliette con la scritta “Sugar Daddy.” A differenza della Court, la King preparò un preciso piano partita, atto a stancare il ben più maturo Riggs e farlo correre per il campo e sotto rete con un gran numero di smorzate. Riggs, che iniziò il match con il consueto fare guascone, fu piegato in 3 set 6-4, 6-3, 6-3.
Per la King e tutto il movimento dello sport femminile – tennistico e ben oltre – fu una vittoria che andava al di là del campo. La giocatrice aveva finalmente dimostrato che una donna poteva avere la meglio su un uomo in un campo da gioco, dando così nuovo lustro allo sport femminile, da molti uomini visto come una ridicola imitazione di bassa lega di quello maschile. La King è ancora oggi una grandissima icona femminista che ha sempre sostenuto che portare l’uguaglianza nel mondo dello sport è da sempre stata la sua raison d’être. Proprio lei fu fra le fondatrici della Women’s Tennis Association, meglio noto come WTA. Come detto, queste importanti conquiste fanno il paio con alcuni aspetti meno edificanti. Riggs era 26 anni più vecchio della King e almeno un trentennio rimosso dal suo prime tennistico. In più, oltre che allo stile spesso più giocoso che serio, circolano da sempre voci che egli avrebbe piazzato un gran numero di scommesse circa l’incontro e il suo andamento. Ricordare “La battaglia dei sessi” (o meglio, il suo secondo atto, visto che il primo aveva pericolosamente dato ragione agli uomini) è assolutamente giusto, ora forse più che mai; ma non va messo in secondo piano il suo valore simbolico. Se nel 2040 un corridore bianco sfiderà e batterà Usain Bolt in una gara dei 100m, ciò non stabilirà certo nuove gerarchie fra bianchi e neri nell’atletica leggera. Se però incoraggerà alcuni ragazzini a sostituire il pallone con l’atletica, rilanciando così l’intero movimento dello sport su pista del proprio paese, l’evento andrà comunque giudicato nel suo complesso col rispetto che merita.
MVProf