The greatest show on surf
I Rams sono a metà fra un glorioso passato e un presente tutto da scrivere
Poche squadre negli ultimi anni hanno attraversato una quantità di cambiamenti paragonabile a quella dei Los Angeles Rams. Solo nel 2016, i Rams erano stanziati nel polveroso Midwest, prigionieri della mediocrità targata Jeff Fisher. Appena tre anni più tardi, i Rams sono la squadra più glamour di LA e l’officina del giovane genio offensivo Sean McVay. Ah, e sono pure arrivati a giocarsi il Super Bowl LIII. Attenzione, il primo anno nella città degli angeli non è stato esattamente tutto caviale e champagne. Anzi, nell’ultimo anno di Fisher la squadra peggiorò notevolmente dai suoi standard già mediocri. La loro prima scelta assoluta, Jared Goff, fu promosso titolare in Week 11: finì la stagione 0-7 e con tutti i crismi di un bust in divenire. Enter coach McVay. L’impatto dell’ex OC dei Redskins è subito vincente: nella sua prima stagione da head coach conquista l’NFC West vincendo lo stesso numero di partite (11) di quelle vinte da Fisher nei due anni precedenti (7 e 4).
Arrivano dunque i playoff, territorio inesplorato dai Rams dal 2004. L’immediata sconfitta casalinga brucia, ma si capisce che qualcosa di molto interessante sta prendendo forma fra le onde di Malibu. La stagione 2018 dei Rams segue fin dall’estate quello che è il blueprint dei sogni di tutti i team NFL. Identificare un quarterback affidabile con contratto da rookie e investire il resto del cap su giocatori di impatto immediato. Negli ultimi anni, questa filosofia ha fruttato un Super Bowl ai Seattle Seahawks e, tecnicamente, ai Philadelphia Eagles. Ecco allora arrivare un mix di veterani come Ndamukong Suh e Aqib Talib, e giocatori in scadenza come Marcus Peters e – a stagione incorso – Dante Fowler. Acquisito in Brandin Cooks il tanto atteso WR1, arriva il momento di elargire ricche estensioni contrattuali. A trarne beneficio i prodotti caserecci Aaron Donald (6 anni a $135M) e Todd Gurley (4 anni a $60M), più lo stesso Cooks (5 anni a $81M).
Così concepito, il piano è talmente ben riuscito che farebbe invidia al colonnello Hannibal Smith. Se tutto va bene, McVay si ritrova per le mani una sorta di Dream Team; in caso contrario, le giovani promesse restano e gli altri finiscono tagliati senza danni residui al cap. Goff, scrollatosi di dosso la prematura etichetta di bust, si dimostra anche di più di un semplice game manager. Si classifica infatti nella top 5 in yard per passaggio tentato (8.4), yard lanciate a partita (293) e yard lanciate totali (4,688). Con l’ex Cal al timone, i Rams mettono insieme il secondo attacco più prolifico della lega con 32.9 punti a partita, cifra quasi identica ai 32.7 di media messi a referto dai Rams negli anni del Greatest show on turf.
Coordinati da Kurt Warner, quei Rams erano trascinati dal dominante run game di Marshall Faulk, unito a un attacco aereo esplosivo dei ricevitori Isaac Bruce, Torry Holt, Az-Zahir Hakim e Ricky Proehl. Il team accumulò orge di punti e onori individuali, oltre a due presenze al Super Bowl in tre anni, vincendo quello del 1999. La cavalcata si interruppe nella stagione 2001, quando la seconda rincorsa al Lombardi Trophy fu interrotta dai New England Patriots del novellino Tom Brady. 18 stagioni dopo, TB12 e i Rams si incontreranno di nuovo al Super Bowl. A McVay, Goff e gli altri spetta il compito di vendicare la memoria dei loro predecessori e stabilire per se stessi la reputazione di nuovo colosso offensivo (e non solo) di portata storica. Gli indizi ci sono tutti: ora manca la certificazione che solo un anello può dare.
MVProf