Super Bowl LI – Il racconto della finale più bella di sempre
I New England Patriots sconfiggono gli Atlanta Falcons 34-28 e si laureano campioni NFL per la quinta volta dopo una partita leggendaria
Lo si sospettava da un paio di settimane che questo Super Bowl LI avesse tutti gli ingredienti necessari per entrare nella leggenda. E non solo ci è entrato, ma ha anche occupato il gradino più alto. Prendiamoci pure il merito di aver previsto il punteggio finale della partita quasi alla perfezione nell’articolo di introduzione alla partita, ma nessuno avrebbe potuto minimamente prevederne lo sviluppo. La grande serata all’NRG Stadium parte sulle note di “America the Beautiful” cantato dalle Schuyler Sisters, seguito dallo “Star-Spangler Banner” di Luke Bryan, tanto per far capire al mondo che siamo a Houston, TX e che il country-folk regna ancora sovrano da queste parti. Il lancio della monetina, per mano del 92enne ex Presidente George H. Bush, favorisce gli Atlanta Falcons, che decidono di lasciare palla ai New England Patriots. Tom Brady scende in campo col suo attacco solido ed efficiente, ma inizia con un misero three-and-out. Arriva il turno di Matt Ryan, che con Boston ha un discreto legame, avendo giocato all’università quattro anni a Boston College, dove peraltro il suo numero 12 è stato ritirato proprio lo scorso 19 novembre. Anche per lui, però, three-and-out. Il primo quarto scorre via senza emozioni e senza punti (solo l’ottava volta nella storia del Super Bowl), ma non senza alcune prime indicazioni sul prosieguo della partita. Brady ha già subito 2 sack e non a caso New England è ancora a secco; Atlanta corre all’esterno dei tackle più o meno indisturbata col duo Freeman-Coleman, ma Julio Jones è escluso dai giochi dalla secondaria avversaria. Più che football, si sta assistendo ad una partita a scacchi.
Al primo episodio di rilievo, la partita cambia. Coi Pats in territorio Falcons, Lagarrette Blount viene scippato del pallone da Deion Jones in una delle rare corse profonde dei suoi. Ryan prende palla e marcia inesorabile dall’altra parte del campo, facendo nel mentre entrare in partita Jones con due ricezioni. Freeman resta un rebus che i Patriots non riescono a decifrare e un’ennesima corsa verso l’esterno porta al primo touchdown della gara per il 7-0. Brady non fa che una passeggiata in campo, perché è di nuovo subito costretto a lasciare il palcoscenico al collega in maglia rossa, che lancia un fulmine a Jones che per riceverla fa un numero che è un mix fra Jordy Nelson contro i Cowboys e Micheal Jackson contro i cattivi di “Smooth Criminal.” In red zone, il tight end Austin Hooper perde il primo duello contro Patrick Chung, ma ha la meglio nel secondo. Non sono passati nemmeno quattro minuti dalla prima segnatura che già Atlanta è sopra 14-0. Brady non ci sta e marcia nella metà campo avversaria con l’aiuto… degli arbitri. Tre terzi down in fila falliti ma premiati dagli arbitri per altrettante penalità (holding) dei Falcons. Altro terzo down sulle 23, bunch formation alla sinistra di Brady. Invece che disorientare la difesa, tale schieramento crea traffico fra ricevitori e defensive back: Brady sente il fiato sul collo di Dwight Freeney e lancia la palla nel mucchio. Ne approfitta Robert Alford, che intercetta, evita il disperato (e scoordinato) placcaggio di Brady e passeggia 82 yard fino alla end zone. 21-0 e primo pick-6 nelle sette apparizioni al Super Bowl di Brady. La voragine aumenta.
Sotto di tre possessi, Brady riprende palla e subito va vicinissimo ad un secondo intercetto, continuando a dare segni di poca lucidità, prima mancando Julian Edelman libero di ricevere in due diverse circostanze e poi orchestrando un pessimo screen pass per Bennett con pochi secondi sul cronometro del secondo quarto. I Pats non riescono ad andare in touchdown e si devono accontentare di un field goal di Stephen Gostowski da 41 yard, andando a punti per la prima volta solo al sesto drive tentato. Il tabellone luminoso dice 21-3 e ciò che è peggio è che i Falcons avranno la palla all’inizio del terzo quarto. Mentre negli spogliatoi si respirano due atmosfere diametralmente opposte, i 71.500 dell’NRG Stadium assistono al concerto di metà gara di Lady Gaga, che inizia col filmato (pre-registrato per motivi tecnici e coreografato da ben 300 droni luccicanti in bianco-rosso-blu) della cantante che si esibisce dal tetto dello stadio sulle note di “God Bless America,” scelta un po’ paracula di manifestare la protesta aDonald Trump senza inimicarsi una grossa fetta dei presenti, perché comunque ci si trova – vale la pena ricordarlo – pur sempre in Texas. Parafrasando una celebre frase attribuita a Michael Jordan, anche i texani comprano dischi.
Si riprende, come detto, con i Falcons in possesso palla. Vi ritornano, però, a un’ora e otto minuti dall’ultimo possesso; la ruggine c’è e si materializza in un three-and-out, stessa sorte che comunque tocca anche a New England proprio come a inizio partita. Tuttavia stavolta al secondo ritorno in campo Ryan non temporeggia, anzi lancia un missile a Taylor Gabriel per 35 yard, spezzando caviglie e orgoglio a Malcolm Butler. Giunti alle 6 yard avversarie, il backfield di Atlanta si conferma l’arma in più, stavolta nella persona di Tevin Coleman che riceve il lancio di Ryan e si invola verso l’end zone. Il running back sfugge alla copertura di Rob Ninkovic e lo fissa col suo sguardo fiero e col paradenti vampiresco, portando a casa altri punti per i suoi. Con 8:32 da giocare nel terzo periodo i Falcons si trovano a comandare 28-3. I 25 punti di distacco sono due volte e mezzo il deficit massimo mai recuperato nella storia del Super Bowl, ovvero quei 10 punti che proprio i Pats recuperarono due edizioni fa contro Seattle. Insomma, se esiste una squadra può riuscire in certe imprese… Eppure tutti i Patriots faticano a guardarsi negli occhi; difficile dire chi creda nella rimonta tanto fra i giocatori, quanto fra i 111 milioni di spettatori incollati al televisore (o almeno fra quelli che lo hanno tenuto acceso – di gente che a questo punto ha mollato ne conosciamo tutti almeno uno). Forse solo il normodotato Edelman ci crede sul serio: “Let’s go, boys. It’s gonna be a hell of a story!” Se vi piace il gioco d’azzardo, a posteriori questo era il momento giusto per smettere di scommettere sui rossi e puntare invece tutte le fiches sui bianchi – anzi, su White, con la maiuscola. Chi è? Intanto segnatevi il nome.
I Patriots sono spalle al muro. Brady evita il collasso in un paio di circostanze, prima convertendo il 4° e 3, poi correndo nel successivo 3° e 8. I microfoni captano Mohamed Sanu prendere in giro Brady per la corsa dinoccolata quasi al ralenti, ma mentre la panca ride, TB12 è concentrato come un laser. Dopo un drive metodico, finalmente i Patriots portano a casa il primo touchdown della serata con 2:07 rimanenti nel quarto, merito di James White su ricezione di 5 yard. Ora qualcuno in più crede alla rimonta, perciò Gostowski “decide” di aumentare la difficoltà calciando l’extra point sul palo destro e condannando così i suoi a tentare la conversione da due punti da qui alla fine. Il kicker combina una seconda frittata calciando un brutto onside kick, ricoperto da Atlanta con annessa penalità. 28-9 e palla in mano nella metà campo avversaria con 17 minuti da giocare: finita qua? Non ancora. Una penalità (holding) e un sack costringono coach Quinn a restituire palla senza riscuotere punti. Brady marcia come un treno fino quasiad annusare la vernice dell’end zone colorata di blu, ma subisce due sack consecutivi e così Bill Belichick mandain campo la field goal unit. I possessi di distacco ora si fanno due (28-12), ma Atlanta deve sentirsi sollevata per essere riuscita a tenere i bianchi a soli tre punti.
Il problema, semmai, è che mentalmente l’attacco è fermo a quel TD di inizio terzo quarto. E solo facendo ricorso alla sfera cerebrale è possibile spiegare come Freeman non veda Dont’a Hightower, 193cm di muscoli che gli sfilano via come una fresca brezza mattutina e atterranno Ryan. Per la serie “Eroi nella penombra,” quella di Hightower è la seconda giocata decisiva in altrettanti Super Bowl giocati. Se a 1 yard dalla vittoria del Super Bowl XLIX Russell Wilson decise di lanciare la palla che poi venne intercettata da Butler, invece che affidarsi alla corsa di Marshawn Lynch, ciò è dovuto al fatto che l’azione precedente proprio Hightower aveva arpionato Beast Mode alle caviglie impedendogli un altrimenti certo ingresso in end zone. Qualunque cifra Hightower chiederà ora che è free agent, i Pats faranno meglio a porsi pochi dubbi e accettare subito. Tornando al presente, fumble ricoperto da Alan Branch e campo super corto riconsegnato a Brady. Con 25 yard da macinare, il QB non tarda a trovare Danny Amendola per il secondo TD di giornata. Serve andare per la trasformazione da 2 punti e White converte correndo dritto per dritto. Il punteggio ora dice 28-20, eppure ad Atlanta basta un FG per mettere due possessi fra sé e gli avversari – e il cronometro è dalla loro. Ryan (ri)parte a mille e imbecca subito Freeman che corre indisturbato fino alla metà campo. Ancora più clamoroso il lancio successivo con il quale connette con Julio Jones per una delle ricezioni più spettacolari della storia del Super Bowl. Il maestro felpato nemmeno lancia il challenge, basta un replay per restare ammaliati – e sconcertati – dal gesto tecnico. In un 2016 in cui si è quasi solo parlato di Odell Beckham jr, Antonio Brown e dei rispettivi problemi con yacht e social network, Julio ha ricordato a tutti che anche lui è parte integrante della discussione su chi sia il miglior WR della NFL.
Non è la prima volta che i Pats subiscono una ricezione clamorosa nel finale. Il Super Bowl XLII è passato alla storia per l’helmet catch di David Tyree, mentre nel già citato XLIX Jermaine Kearse aveva apparecchiato la tavola con una ricezione fortunosa quanto determinante. Come in quest’ultimo esempio, però, i Pats non si arrendono. Se sia stato più sbagliato per i Seahawks non correre da 1 yard o per i Falcons non correre dalle 22 yard, sapendo che un FG l’avrebbe chiusa è dibattito per altre sedi. Qui basti notare come con 4:40 da giocare si sia passati da 1° e 10 a 4° e 33, il tutto per colpa di una corsa di -1 yard, un sack, una penalità (altro holding) e infine un incompleto che costringono Atlanta al punt. Con 91 yard di fronte a sé, 53 omaccioni impauriti e 8 punti da mettere a referto in 3:30, non serve neanche parlare di inerzia: a quel punto, Tom Brady conosceva già il finale. Oliatina ai circuiti cibernetici, Tommy, e via andare! Chris Hogan fa la prima cosa buona della sua partita e riceve su 3° e 10, poi è il turno di Malcolm Michell conquistare un altro facile primo down. Quello successivo, però, è tutt’altro che facile. Lancio stavolta corto di Brady e Alford mette le mani su quello che potrebbe essere il secondo intercetto di giornata. Per Brady significherebbe la mannaia del “trattamento crying Jordan,” peraltro già in stato di avanzato completamento, mentre per Alford vittoria, anello, forse titolo di MVP, parata, ospitate televisive nel salotto di Ellen e in quello di Fallon, inaugurazioni di centri commerciali e il secondo titolo per la città di Atlanta in 149 stagioni combinate fra tutte le squadre pro (Falcons, Braves, Hawks e gli ex Thrashers). Ma i sogni devono attendere.
“I caught it, I caught it!” Incredibilmente, dal groviglio polipesco a otto gambe e braccia ne esce vittorioso Edelman, che urla a tutti la bontà del suo riflesso felino. A nulla vale il challenge chiesto da coach Quinn, poiché le immagini rafforzano la bontà della chiamata arbitrale e spezzano la schiena a tutta la città di Atlanta. Altre 20 yard sono conquistate da Amendola, poi 13 da White. 1° e goal da 1 yard. White non si fa pregare e si incunea fra le maglie della difesa per il secondo TD della sua storica giornata, completa di trasformazione da 2 punti: 28-28 e overtime, il primo dopo cinquanta edizioni del Super Bowl. Nemmeno la moneta ha pietà dei Falcons e si consegna spontaneamente a Brady, il quale connette nell’ordine con Amendola, Hogan, Edelman e White fino alle 15 yard avversarie. Il successivo lancio per Bennett è incompleto, ma una penalità (interferenza offensiva) porta l’ovale a ridosso della goal line. Suona familiare? Evidentemente no, perché Brady lancia il classico fade al tight end e per poco Beasley non intercetta. Meglio affidarsi a White che di corsa spezza tre placcaggi e di pura volontà porta il cuore oltre l’ostacolo e la palla oltre la linea. Esplode la festa Patriots, i giocatori si abbracciano, i tifosi invadono il campo. Tutti gioiscono, meno uno. Edelman. Quello che sotto 28-3 non aveva mai smesso di crederci; serve Belichick a confermargli che gli arbitri hanno visto il replay e confermato il touchdown. È ufficiale: 34-28, i Patriots sono campioni per la quinta volta. A hell of a story, indubbiamente!
Tom Brady chiude con 2 TD, 1 INT e 466 yard lanciate, record del Super Bowl. Non esattamente il solo record di giornata. Con 5 anelli, scavalca Terry Bradshaw e l’eroe d’infanzia Joe Montana, diventando il QB più vincente di sempre. Brady diventa recordman del Super Bowl anche per passaggi tentati (62), completati (43 in partita, 207 in carriera) e yard lanciate (2071) nelle 7 partite disputateal Super Bowl. E la lista è ancora lunga. Infine, il quarto titolo di MVP – anch’esso un record – va forse spartito con James White, che a sua volta chiude con 139 yard totali, 20 punti segnati, 14 ricezioni e 3 TD, infrangendo a sua volta altri record. Bill Belichick si gode il suo personale di record: con 5 anelli si proietta nell’iperuranio del coach più vincete della storia. Un giorno non troppo lontano, forse si parlerà di alzare al cielo il Belichick Trophy e non più il Lombardi Trophy.
Per il momento, però, si tratta ancora del Lombardi così come resta ancora compito del commissioner Roger Goodel consegnarlo al proprietario dei Patriots, Robert Kraft, che urla “This is unequivocally the sweetest!” Il che è un riferimento alla rimonta, ma anche una frecciata a Goodell. Questi, da due anni a questa parte, è odiato in quel di Boston peggio dei Lakers, proprio per la controversia del Deflategate. In base al presunto scandalo dei palloni sgonfiati sotto il limite consentito, Goodell sospese Brady per 4 partite all’inizio del 2016, ma paradossalmente ciò ha tenuto il 39enne QB più fresco (e motivato) per il resto della stagione. Fra la folla Goodell stringe la mano a Brady (almeno, rispetto a Sepp Blatter nel 2006, lui il trofeo l’ha consegnato), ma poi si dilegua più velocemente del vantaggio accumulato dai Falcons. A tal proposito, ricapitolando, loro hanno bruciato 25 punti in 17’08”, concedendo 3 TD, 2 conversioni da 2 punti e 1 FG, più il TD in overtime. Il tutto restando senza più segnare un singolo punto, pur essendo stati l’attacco numero uno della lega nel 2016. Curiosamente, nell’arco della partita i Falcons sono stati in vantaggio per 41’18” – i Patriots per 0″. Dopo che quest’anno i Warriors e gli Indians da 3-1 hanno perso le rispettive serie contro Cavs e Cubs per 3-4, anche i Falcons si inseriscono a pieno titolo nel poco invidiabile almanacco dei perdenti eccellenti del 2016. Notte di festa a Houston e poi dritti a Boston per la parata di martedì mattina sotto una bianca coltre di neve: i tifosi sono già in fila che aspettano.
MVProf