Storie e numeri della doppietta Dubs
I Warriors sono i campioni NBA della stagione 2016-17: i Dubs hanno sconfitto i Cavaliers 4-1 e portato il secondo titolo nella Baia in tre stagioni
LA SERIE – Gara 1 e 2 hanno dettato da subito il ritmo della serie, con larghe vittorie da parte dei Golden State Warriors. Nella prima partita, per i padroni di casa appena 4 palle perse (record all-time pareggiato), mentre per i Cleveland Cavaliers 20 perse e 20 tiri in più concessi agli avversari. Da segnalare Rihanna che da bordocampo ha tentato di distrarre KD, ma ne è uscita polverizzata dallo sguardo dello Slim Reaper. Nella seconda ruoli rovesciati, con i Warriors a perdere il pallone per 20 volte, ma la prima tripla-doppia ai playoff di Steph Curry ha comunque portato in dote ai Warriors un successo con margine. La serie si è poi spostata in Ohio, ma erano davvero pochi i segnali positivi per i Cavs a cui attaccarsi, specie i soli 4 punti totali in due 4° quarti di LeBron James, apparso spesso stanco nei finali. Se non altro, il passivo totale accumulato era inferiore a quello dell’anno passato (-41 rispetto al -48 del 2016). In Gara 3 i Cavs sembravano in controllo, ma un parziale killer di 11-0 nel finale ha portato la serie sul 3-0. Decisivi da una parte l’errore di Korver su assist di LeBron e dall’altra la tripla di Kevin Durant proprio in faccia al Prescelto. La differenza con Harrison Barnes, -18 di +/- in Gara 3 l’anno prima, è apparsa, una volta in più, immensa.
Pur con gare ad alto punteggio e ad un ritmo mai prima d’ora incontrato da LBJ alle Finals, né lui né Lue sembravano intenzionati a rallentare il gioco e abbassare il numero di possessi. I Warriors erano così sulla strada di una postseason perfetta e LeBron invece su quella del secondo sweep alle finali: Kardashian curse o no, LBJ sapeva che non sarebbe caduto al tappeto senza lottare. Dopo aver concesso ben 114 punti ai Warriors nei primi quarti, in Gara 4 Cleveland ha compattato le fila in difesa ed è esplosa in attacco: 49 punti nel primo quarto e 86 nel primo tempo, stabilendo nuovi record. In campo si sono visti anche una remix di LeBron, un doppio tecnico a Draymond Green (anzi no) e 24 triple a bersaglio per i padroni di casa (nuovo record per le Finals). Serie sul 3-1, come una anno fa. Le molte aberrazioni statistiche, per definizione irripetibili, hanno allungato la vita ai Cavs, sentenziati poi al ritorno ad Oakland in Gara 5. Curry e Durant hanno combinato per 73 punti totali e solo i canestri nel finale di LeBron hanno reso il passivo meno largo di quanto in realtà non fosse stato per larghi tratti. Da segnalare i 20 di Iguodala, che a due anni dal titolo di MVP e ad uno dalla stoppata di LeBron, aveva a sua volta qualcosa da dimostrare. Poi solo coriandoli e champagne.
I PROTAGONISTI – Nel 2012, dopo aver cambiato squadra e lasciato Cleveland nel polverone, LeBron centrò il suo primo titolo NBA alla guida dei Miami Heat, che sconfissero 4-1 in finale gli Oklahoma City Thunder di Durant. Allora KD aveva appena 23 anni e non riuscì a fermare la fame del Prescelto. In una serie di corsi e ricorsi storici, nel 2017, dopo aver cambiato squadra e lasciato OKC nel polverone, Durant ha centrato il primo titolo NBA sconfiggendo 4-1 in finale LeBron. Il momento dell’abbraccio con mamma Wanda con annessa tirata di pizzetto è stato uno dei momenti più memorabili di questi playoff e forse della storia del gioco. In molti hanno ipotizzato che questa serie possa aver segnato il passaggio di consegne del titolo – del tutto ideale – di miglior giocatore del pianeta dall’uno all’altro giocatore. Benché questo vada comprovato coi fatti di qui in avanti, è indubbio che Durant abbia avuto una serie finale migliore di LeBron e perciò meritevole dell’MVP. Il tutto nonostante il re abbia accumulato svariati record all-time solo durante questa serie finale (in ordine sparso, nuovo leader per liberi segnati ai playoff e per triple doppie nelle Finals, oltreché 6° per rimbalzi e 3° marcatore di ogni epoca delle Finals). Ancora più significativo è il fatto che LBJ abbia tenuto una tripla-doppia di media alle Finals, record statistico mai visto prima. Difficile capire come un giocatore col suo chilometraggio riesca ad arrivare a nuove vette dopo 14 stagioni NBA senza mai rallentare. Tuttavia, nell’anno in cui lo stesso traguardo centrato da Russell Westbrook in 82 partite ha comunque portato ad una sua rapida uscita di scena, questo rafforza l’importanza che i compagni di squadra hanno nelle sorti della carriera di una singola superstar.
In Gara 3, dove la serie poteva girare in un’altra direzione, LeBron è stato sul parquet per quasi 46′ e il suo +/- è stato di +7. Considerando che i Cavs hanno perso la partita 118-113, ciò significa che nei due minuti e spicci in cui LBJ è stato a sedere in panchina i Cavs, a prescindere dal quintetto, avevano un +/- collettivo di -12. Di nuovo, il parallelo più fresco e simile è quello di RW, che spesso chiudeva il 3° quarto coi suoi in vantaggio e rientrava nel 4° a dover inseguire. La fatica è un elemento da non sottovalutare per entrambi: a prescindere dalla differenza di età, nessuno può giocare 48′ di basket competitivi senza riposare mai. “They might run out of gas,” aveva giustamente previsto coach Kerr. Degli insuccessi dei suoi LeBron però deve essere considerato più responsabile di Westbrook, poiché l’intero roster di Cleveland è figlio delle direzioni date esplicitamente al GM Griffin e al proprietario Gilbert. Solo nel 2017 i Cavs sono stati $28M sopra il cap e hanno avuto a libro paga ben 22 giocatori diversi. Come colmare il gap fra le due squadre sarà materia di speculazioni per un’estate intera. In generale, l’impressione è che Golden State abbia in quella Strength in Numbers la chiave dei suoi successi. Quando KD attaccava, spesso LBJ difendeva, ma quando LBJ attaccava, Iguodala o Green erano i marcatori designati. Stesso discorso per la spalla del #23. Quando Curry era in attacco, Kyrie Irving lo difendeva, ma a ruoli invertiti Kyrie trovava Klay sulle sue tracce. La profondità, l’intercambiabilità, la duttilità simil-coltellino svizzero che è praticamente ogni quintetto messo in campo da Steve Kerr sono state emblematiche dei mezzi in possesso dei californiani.
IL FUTURO – La differenza fra Cavs è Warriors è difficile da stimare, proprio perché un singolo tiro ha forse fatto la differenza fra il 3-1 e il 2-2. Ad occhio, però, la distanza è apparsa per larghi tratti palese e profonda. Sì, i Cavs avrebbero potuto portare la serie a 6 o 7 partite, ma non vincerla. Checché ne dica il barone de Coubertin, siccome si gioca per vincere e non per arrivare ad un passo dal successo, i Cavaliers hanno bisogno di un discreto make-up prima di ripresentarsi l’anno prossimo. Dei 15 giocatori attualmente a roster, Cleveland potrebbe – e dovrebbe – perdere Jefferson (già l’anno scorso aveva annunciato il ritiro), Dahntay e James Jones; sono free agent anche i Cavs di minor corso come Korver, Derrick e Deron Williams. KK e Deron, i due giocatori arrivati a stagione in corso per fare il salto di qualità, sono stati una grande delusione e, benché idealmente funzionali al sistema, difficile dire che si siano meritati la conferma sul campo. Shumpert è ormai più un incognita che un jolly difensivo e potrebbe salutare anche lui. JR Smith e Thompson hanno giocato due gare su cinque a livelli accettabili, ma i loro contrattoni freschi di inchiostro difficilmente li vedranno andare altrove. Chiaramente i Cavs dovranno avere 13-14 giocatori per l’anno prossimo, ma tutti i nomi sopra citati hanno dimostrato di essere pressoché dei semplici scaldapanchina. Coach Lue è uomo di LeBron e dovrebbe restare al comanda (relativamente parlando).
Si sta parlando molto di una possibile trade Kevin Love per Paul George, che però sembra tappare un buco per aprirne un altro. PG13, contratto in scadenza nel 2018, ha recentemente affermato di voler restare con gli Indiana Pacers per un altro anno e poi andare ai Los Angeles Lakers come free agent l’estate prossima. I Pacers, spaventati dal poterlo perdere a zero, potrebbero a quel punto scambiarlo altrove, ma difficilmente Love è una pedina di loro interesse. I Warriors sanno di avere i talenti di Klay e Green ancora sotto contratto per l’anno prossimo, benché KD possa uscire dal contratto e Curry sia unrestricted. Tuttavia, con Curry diretto ad un max contract e Durant desideroso di restare (a prescindere che si tratti di un quinquennale o un 1+1) il nucleo dovrebbe essere al sicuro. KD poi pare intenzionato a concedere uno sconticino per far sì che si possano rifirmare anche Iggy e Livingston, pezzi importantissimi della panchina Warriors. Dei molti ring chaser del roster, resta da valutare la posizione di Pachulia, West, Barnes, McGee e Clark, con gli ultimi due che potrebbero avere più mercato rispetto agli altri. In generale, conterà la loro decisione finale, se passare alla cassa o continuare ad inseguire altri anelli. Steve Kerr ha confermato la sua volontà di allenare anche l’anno prossimo. Da segnalare la partenza del consulente e “logo” Jerry West, diretto a LA, sponda Clippers(!) La sensazione è comunque che, terremoti o meno, fra 12 mesi saremo tutti di nuovo qui a commentare il quarto atto della saga.
P.S.
MVProf