Shaqtin’ a Bully
La storia della rissa mediatica fra Shaq e McGee
Negli ultimi giorni si è scatenata una rissa mediatica a distanza fra Shaquille O’Neal e JaVale McGee. Il primo, ex centro dominante dei Lakers, è ora co-conduttore del popolare show “Inside the NBA” su TNT. Il programma è da molti visto come il miglior show sull’Association, giudizio che va al di là della serie di polemiche sollevata negli ultimi anni. Il mese scorso era toccato a Sir Charles entrare in un battibecco a distanza con LeBron James. Nemmeno il tempo di far calmare le acque che è esplosa una seconda bomba a poca distanza dalla prima.
Membro di TNT da subito dopo il suo ritiro nel 2011, Shaq ha debuttato già dal suo primo anno di conduzione col suo segmento di “papere” della settimana di NBA, chiamato Shaqtin’ a Fool – gioco di parole fra il suo nome e “acting a fool” (= comportarsi da sciocco). In esso si evidenziavano tutti gli errori e le situazioni strambe capitate ai giocatori, come schiacciate sbagliate, infrazioni di passi clamorose, e tanto altro. Questo tipo di televisione non è certo una novità: parallelamente, NBATV manda in onda i Weekend Whoopsies all’interno dello show “The Starters,” mentre a sua volta ESPN trasmette ogni venerdì la sua NotTop10 all’interno di “SportsCenter.”
Ogni trasmissione di successo ha bisogno di un eroe, ma quello che ha reso Shaqtin’ a Fool ultra-popolare è la presenza di un antieroe, ovvero JaVale McGee. Figlio dell’oro olimpico ed ex-giocatrice WNBA Pamela McGee, nella sua carriera NBA ormai giunta all’ottavo anno JaVale si è reso protagonista di numerosi momenti indiscutibilmente esilaranti sul parquet. Grazie alle sue giocate spesso bizzarre, McGee ha avuto “l’onore” di essere incoronato MVP di Shaqtin’ a Fool per ben due volte. Nonostante il premio negli anni seguenti sia poi andato anche a Kendrick Perkins, Otto Porter e addirittura James Harden, McGee è rimasto una presenza fissa dello show.
Ogni volta che questi compariva nella top 5 di Shaq, le risate esplodevano solo a sentire il grosso conduttore gridare “JaaVaaaale McGeeee!” prima ancora delle immagini vere e proprie. Quello che sembrava all’inizio un gioco innocente, ha iniziato a dare i primi segnali di insofferenza nel 2013. In occasione del compleanno del Big Diesel, TNT ha pensato bene di far collegare in diretta via satellite da Denver JaVale McGee per orchestrare un simpatico siparietto. Peccato che McGee fosse di altro avviso. Salutato da O’Neal col suo solito coro da stadio, McGee è apparso fin da subito poco a suo agio nel ruolo di ospite/giullare. Perché di questo si trattava.
Ernie Johnson, solitamente il saggio del gruppo, chiese a McGee cosa pensasse della sua relazione con O’Neal, definendolo il suo fan più grande. Palesemente a disagio, McGee ribatté chiamando il Diesel un bullo più che un fan. Il messaggio chiaramente non fu recepito in studio, dove scoppiarono le risate. Alla successiva domanda circa quale fosse la sua parte preferita di Shaquin’ a Fool, McGee rispose: “Non saprei, non guardo Shaqtin’ a Coon.” Di nuovo risate generali, meno che per EJ, troppo furbo e troppo bianco per ridere alla parola “coon.” Nella cultura afroamericana, “coon” è colui il quale deride e maltratta i fratelli neri per intrattenere l’uomo bianco e accattivarsene i favori.
Già quattro anni fa, dunque, McGee inquadrò chiaramente O’Neal come bullo, ma ciò non frenò minimamente quest’ultimo. Dopo aver firmato coi Golden State Warriors come centro di riserva, McGee lamentò a The Mercury News la sua situazione di eterno bersaglio: “It’s just really disappointing that grown men, 50, 40 year olds are having America’s funniest home videos of a player. And then making it a hashtag and really just trying to ruin someone’s career over basketball mistakes.” Nell’intervista, inoltre, McGee si diceva dispiaciuto di un infortunio cronico alla gamba che ne aveva bloccato la carriera, unica ragione che era in grado di darsi in un momento di grandi difficoltà per chi non ha mai avuto problemi con sostanze stupefacenti o con la legge.
Il Big Cactus non comprese però il messaggio. Con le sue dichiarazioni, lamentava delle effettive difficoltà che la sua carriera aveva incontrato per colpa di anni di pubblicità negativa dell’ex-collega. In tutta risposta, invece, O’Neal disse in diretta nazionale che McGee non gli portava il rispetto convenuto alla sua persona. Nonostante i 2 metri e 16 di stazza e i quasi 200kg di peso, l’ego di O’Neal è da sempre sproporzionato alla sua pur enorme persona. Portare rispetto per una delle icone del gioco ha davvero poco a che vedere col relazionarsi con un membro della stampa. E nemmeno uno dei suoi esponenti di punta, essendo l’anello debole del pur competente team di “Inside the NBA.”
Sebbene ora McGee stia vivendo nella Baia il miglior momento della carriera, O’Neal non poteva resistere alla tentazione di continuare a prenderlo in giro. I “lowlights” di McGee di quest’anno sono drasticamente diminuiti; anzi, si è distinto come un centro di riserva di ottima efficienza. TNT ha comunque provato davvero in tutti i modi di includere McGee in Shaqtin’ a Fool, facendo uso di errori davvero veniali e immeritevoli di tanta cattiva pubblicità. Col materiale che scarseggiava sempre di più, il 23 febbraio O’Neal ha mandato in onda un filmato chiamato “Dr. Strange,” che coniugava l’omonimo film Marvel recentemente uscito con le “stranezze” di McGee. Si trattava però di clip vecchie di anni viste e riviste. Questa era la prova definitiva che l’ossessione di O’Neal per McGee fosse il suo unico modo per restare rilevante in televisione. Questa volta, però, la bomba gli è esplosa in faccia. In primo luogo, i Warriors si sono messi in contatto con TNT per discutere della cattiva pubblicità cui era stato oggetto il proprio giocatore. Il secondo round, invece, si è combattuto in rete.
Da Twitter McGee ha invitato la sua nemesi a smetterla di essere ossessionato da lui – per usare una più elegante parafrasi. In risposta, O’Neal ha lasciato il fioretto nel fodero per andare invece giù di scimitarra. Col suo tweet è infatti passato alle minacce fisiche, avendogli risposto: “Non atteggiarti da duro. Ti spacco il c**o. Sei tu quello che fa lo stupido con la tua faccia da stupido.” E poi con un secondo tweet un minuto dopo, ha rincarato la dose: “Ora siccome sei in un buon team vuoi sembrare un giocatore vero? Piantala! Sarai ricordato solo per Shaqtin’ a Fool.”
I due sono andati avanti con botta e risposta fino a notte fonda, quando alle 4:05 dal suo profilo @SHAQ egli ha pubblicato un fotomontaggio di McGee nei panni di un barbone per strada.O’Neal ha letteralmente affermato di avere per le mani la carriera di McGee e di volerlo far passare alla storia come un incapace. L’immagine del senza tetto, se possibile, è ancora più significativa.Il suo scopo è non solo affondarne la carriera, ma alienarlo da ogni team fino al punto di renderlo disoccupato. In un periodo storico in cui la disoccupazione nella comunità afroamericana è quasi doppia rispetto alla media nazionale (fonte NPR), augurare ad un giovane uomo nero di finire senza un tetto sulla testa è ancor più riprovevole.
Il primo a giungere in suo soccorso è stato Kevin Durant, che ha evidenziato come pure O’Neal da giocatore avesse molte pecche. Sebbene di base Shaq sia solo la voce di filmati scovati e montati dalla produzione, non va scordato che il segmento è un vero e proprio prodotto cucito addosso alla dirompente personalità di Shaq. Anzi, sarebbe sorprendente scoprire che egli non abbia mai fatto pressioni al team di TNT perché trovassero di continuo nuovi filmati su McGee. La guerra digitale fra i due ha tolto ogni dubbio. O’Neal ha tutte le intenzioni di affossare McGee, col sorriso sulle labbra o con vere e proprie minacce. E il tutto ricoprendo un ruolo che ha davvero avuto poco o nulla a che vedere con analisi lucide e distaccate delle partite NBA.
La faida fra O’Neal e McGee pare essere terminata con l’ingresso in campo delle rispettive madri. Lucille O’Neal, la donna capace di partorire un tale colosso, ha chiesto senza mezzi termini al figlio di piantarla. Pamela McGee ha rincarato la dose, definendo l’opera di O’Neal “cyberbullismo.” Il termine, molto discusso in questi tempi ha certamente diritto di cittadinanza. L’agire di O’Neal non ha nulla a che vedere col lavoro di chi dovrebbe fornire pareri tecnici come opinionista. Anzi, ricorda da vicino quella di un bullo che, una volta diplomatosi, ritorna alla vecchia scuola per picchiare il novellino. In futuro, Shaq dovrebbe forse cercare di ricalcare la più onorevole dimensione del grande conoscitore del gioco invece che da comico caustico. Altrimenti, per continuare col bullismo, c’è sempre il campetto sotto casa.
MVProf