Poche idee, tanta paura, gambe pesanti: il fallimento dell’Italbasket di Ettore Messina
La sconfitta nella finale del torneo preolimpico di Torino rappresenta la delusione più amara per una generazione di promessi fenomeni, che forse però non diventerà mai grande
Sono passati solo pochi giorni dalla cocente delusione di Torino, quando una nazionale con molto cuore, ma poco altro, ha perso la finale del torneo preolimpico da favorita, e non di poco, contro la Croazia. Molte le possibili recriminazioni, a partire dall’arbitraggio non certo ‘casalingo’, con il conto dei falli che dice 30 a 21 per gli slavi, e un paio di fischi importanti più che discutibili come il quarto di Hackett che ha bloccato la rimonta azzurra, o il quinto del Gallo a 2’ dalla fine. Inoltre non si può negare che i nostri avversari abbiano giocato la partita della vita, senza subire un briciolo di tensione e facendo la scelta giusta più o meno sempre, nonostante il fattore campo avverso. Al di là di tutto però, questa nazionale doveva e poteva vincere, senza appello.
Poco meno di un anno fa lo stesso nucleo aveva preso a sberle la Spagna, che sarebbe poi diventata campione d’Europa, e perso in un thriller ai quarti contro l’altra finalista Lituania. Non è quindi accettabile perdere così, anche contro un’ottima squadra come la Croazia. Pur rimanendo attaccati alla partita soprattutto grazie al fattore campo, gli azzurri non hanno mai dato veramente l’idea di poter vincere, proponendo troppo spesso sequenze offensive senza capo nè coda nei momenti decisivi, e dimostrando anche grosse lacune dal punto di vista della tenuta atletica.
Il Capitano Gigi Datome, assente per infortunio l’anno scorso, è parso il fantasma del grande giocatore visto per tutta la stagione al Fenerbahce e probabilmente si è presentato alla competizione con il serbatoio in riserva. Come lui Gallinari, che dopo forse la sua miglior stagione in NBA, ha sentito tutte le 82 partite di stagione giocate pesargli sulle gambe. Appena 23.7 minuti di media giocati dal Gallo nel torneo (erano stati quasi 30 agli europei), contro per esempio i ben 36.2 di Bojan Bogdanovic, sintomo di una condizione fisica non ottimale. Dall’altro lato del fiume il, forse ormai ex, Mago Andrea Bargnani. Lontano dalle competizioni da qualche mese, si è dimostrato arrugginito e senza ritmo partita, praticamente non sceso in campo nel match decisivo, mentre undici mesi va era stato uno dei più positivi. Per lui purtroppo la via del declino pare intrapresa.
Difficile capire quanto questi problemi di condizione abbiano pesato sul gioco offensivo dell’Italbasket, e quanto invece sia stato influente il cambio di mentalità imposto da Ettore Messina. L’assistente allenatore dei San Antonio Spurs ha lavorato soprattutto sulla fase difensiva, imponendo a un gruppo di grandi talenti, di spendere molte più energie, fisiche e mentali, nella propria metà campo. I risultati si sono visti eccome con neanche 60 punti di media concessi nella competizione, a fronte degli oltre 80 subiti agli europei. Ma quanto è costata questa scelta nella metà campo d’attacco?
La nazionale di Pianigiani era stata la migliore in termini di punti per partita nell’avventura in Germania e Francia con ben 85.8, mentre gli azzurri di Torino si sono fermati a 73 punti esatti ad allacciata di scarpe. L’idea di Messina era probabilmente quella che il talento offensivo dei nostri avrebbe comunque risolto la partita in caso di difficoltà, se la difesa avesse tenuto, ma contro la Croazia il castello di carte è crollato, da un lato a causa delle gambe un po’ fiacche, dall’altro della paura di fallire ancora. Si sa, nel basket moderno un brutto attacco rende poi anche difficile difendere, e il cerchio si chiude quando le tante energie spese per recuperare in difesa generano una nuova sequenza offensiva ancora peggiore della precedente.
Si spiega anche così la reticenza ad attaccare il ferro degli azzurri, incapaci di trovare fluidità in attacco e di andare in lunetta con continuità (Gallo ad esempio nel torneo si è guadagnato appena 2.8 viaggi in lunetta a partita, mentre agli europei viaggiava a 7.3). L’assenza totale di idee in contumacia Hackett (unico a giocare una partita di livello assieme a Melli) ha fatto il resto, con un Gentile da -20 di +/- costretto a fare il playmaker senza esserne per nulla in grado, e un Belinelli che non sempre può fare pentole e coperchi, soprattutto se mascherato. A Marco va il merito di aver tenuto in piedi la squadra praticamente da solo negli ultimi 2′, forzando l’overtime poi inevitabilmente perso, con la collaborazione di Melli.
L’ex giocatore di Milano, assieme all’altro ex meneghino Hackett, è alla fine a mani basse il miglior azzurro della finale e del torneo. Per trovare invece il peggiore tra i peggiori basta invece guardare al presente dell’Armani, e la scelta non è neppure così sofferta. Non bastasse il -20 e la totale incapacità nel playmaking, con la sfida al tiro decisa da Coach Petrovic (che ha scelto di battezzarlo clamorosamente, neanche fosse Rajon Rondo) neanche accettata, le due giocate decisive nell’overtime gridano vendetta. Il layup del -2 in contropiede a 35’’ dalla fine sbagliato e il rimbalzo perso dalle mani dopo lo 0/2 di Simon sono gli episodi che hanno affossato definitivamente una squadra che già era in partita per miracolo e che Gentile si porterà sul groppone per tutta una carriera. E probabilmente il ragazzo dovrà anche rivedere le proprie ambizioni: il fatto che nel campionato di Serie A sia uno dei migliori forse non è sintomo di qualità sue, quanto di debolezza del torneo. Il fatto che i due azzurri migliori vengano da Bamberg e Olympiakos vi dice qualcosa?
A Coach Simone Pianigiani sicuramente fumeranno le orecchie ricordando tutte le critiche piovute negli anni alla sua nazionale, anche dopo un ottimo europeo. Si era detto che una squadra con così tanti limiti difensivi non potesse vincere, che ci fossero troppi giocatori atipici e non esistesse asse play-centro, che mancasse sempre un centesimo per fare un euro. E così si è cambiato l’allenatore, perché quel centesimo doveva essere il Coach italiano più vincente degli ultimi 20 anni: Ettore Messina. Purtroppo l’esperimento non pare però essere andato troppo bene.
Non siamo certo qui a discutere le qualità infinite di Coach Messina, ma il fallimento in questo caso è prima di tutto il suo. È sua infatti l’idea di dare un’identità difensiva alla squadra. È sua la scelta di non convocare un playmaker di riserva e dare la palla in mano a Gentile. È sua la volontà di non convocare giocatori di personalità che potevano far comodo per coprire i problemi di falli delle superstar come Della Valle e Pascolo, in favore di onesti mestieranti utili per fare gruppo, ma tatticamente inadeguati, come Cervi, Tonut e Poeta. La nazionale di mentalità difensiva, con l’asse playmaker-centro decisamente funzionante (come già detto Hackett–Melli di gran lunga i migliori della spedizione), ha fallito su tutta la linea.
A Coach Pianigiani fumeranno quindi di nuovo le orecchie ricordando la sciagurata gestione dell’ultimo possesso contro la Lituania da parte di, guarda caso, Gentile. Il pensiero è che QUELLA fosse la nazionale del destino, che fosse QUELLA l’occasione per questo gruppo, ora forse arrivato a fine ciclo. E se la palla fosse andata dove doveva, ovvero dal Gallo? …Danilo step back! Danilo step back! Danilo step baaaaack! …E poi chissà come sarebbe andata a finire con una nazionale di giocatori atipici che non sapeva difendere il pick&roll centrale, non aveva un play e un centro, ma giocava proprio, ma proprio, bene. Con tutto il rispetto e l’ammirazione per un grande come Coach Messina, sia chiaro.