Perché i Cavs non vinceranno il titolo quest’anno
La stagione regolare è finalmente conclusa e i Cavs campioni in carica si preparano a difendere il titolo conquistato un anno fa, ma la storia sembra suggerire altrimenti
La stagione più tormentata degli ultimi tempi in casa Cleveland Cavaliers è finalmente giunta al momento decisivo, quello dei playoff, che iniziano questo sabato, coi Cavs prima squadra a battezzare la postseason 2017 nella partita contro gli Indiana Pacers alle 3:30ET. L’etichetta di stagione tormentata è dovuta a diversi fattori. Quello più “rumoroso” è sicuramente la questione delle gare saltate da LeBron James per riposarsi. Quello più infido è dovuto al record finale, un 51-31 poco invidiabile, mentre quello più imperscrutabile si riferisce allo stato attuale dello spogliatoio. Andando passo per passo e analizzando i singoli fattori, è forse possibile prevedere l’esito di questa stagione 2016-17 per i Cavs.
Partiamo col primo punto. Dei giocatori tenuti a riposo durante l’anno si è detto e scritto molto, e anche su questo blog abbiamo pubblicato un articolo a riguardo. Nonostante l’eco enorme – come per qualunque altra cosa riguardi anche solo lontanamente LeBron, siamo onesti! – si è trattato si appena 8 gare saltate in stagione regolare. Tuttavia, a esse hanno corrisposto altrettante sconfitte per i Cavs, segno che questa squadra senza The King sarebbe un vero disastro, forse a malapena degna di entrare fra le prime otto squadre ad est. O forse no? Già, perché di quelle 8 L ciascuna di essa è arrivata in contumacia – oltre che LBJ appunto – Kyrie Irving e/o Kevin Love. Entrambi, vale la pena notare, hanno saltato rispettivamente 10 e 22 partite per problemi fisici di varia natura. Nessun team NBA sarebbe in grado di vincere in maniera consistente quando due o addirittura tre dei migliori giocatori non scendono in campo.
È assoluto diritto dei Cavs (sotto ovvia dettatura del Prescelto) preservare un patrimonio come LeBron e, se 61 partite saltate in carriera possono sembrare molte, va anche considerato che LeBron ha giocato ben più dell’equivalente di due ulteriori stagioni NBA (sabato spegnerà 200 candeline) solo attraverso la sua partecipazione ai playoff, centrati ogni anno a parte i primi due. In totale, egli in carriera ha già più minuti di star longeve come Magic Johnson, Larry Bird, Jerry West, Clyde Drexler e Steve Nash, il tutto mentre i suoi compagni di squadra negli anni (Dwyane Wade, Chris Bosh, Kyrie Irving e Kevin Love) saltavano estesi periodi di tempo per seri infortuni. Di automi come LeBron ne nascono uno ogni cento anni ed è forse già insita nel suo DNA una resistenza quasi irrazionale verso gli infortuni. Ma è anche grazie ad un saggio e controllato dispendio delle forze mentali e fisiche se LeBron è stato in grado di accedere a 6 Finals NBA consecutive, record raggiunto solo da Bill Russell negli anni ’60 (e, curioso a dirsi, al fido scudiero James Jones).
Questo porta al secondo punto all’ordine del giorno. Allargando il quadro generale ci si accorge che, nonostante (o a causa di?) il riposo concessogli, nella seconda metà di stagione i Cavs hanno perso 20 partite su 41 e che dopo l’All Star break hanno accumulato 12 vinte e 15 perse. Si tratta di un ruolino di marcia che, LeBron o non LeBron, proiettato su una stagione intera corrisponderebbe ad un record di 36-46, nemmeno lontanamente sufficiente per qualificarsi ai playoff, dai quali i Miami Heat sono stati i primi esclusi pur con un record di 41-41. In tutto ciò, i Cavs hanno finito la stagione regolare col record di 51-31, perdendo il primo posto ad est ai danni dei Boston Celtics proprio nell’ultima settimana. Questa risulta essere la peggior percentuale di vittorie di una squadra di LeBron dal 2007-08, quando i Cavs chiusero appena 45-37. Stante il record attuale, in totale i NBA ci sono state ben 8 squadre con un record migliore o identico ai Cavs. Fra quelle a pari merito, risaltano i Los Angeles Clippers, in cui Chris Paul ha saltato 21 partite, i Toronto Raptors, che hanno perso a loro volta il loro leader Kyle Lowry per 22 partite, e gli Utah Jazz, alla prima apparizione ai playoff dal 2011-12. Non esattamente la crème de la crème.
Infine, bisogna sempre tenere in considerazione l’inesplorato mondo dello spogliatoio di qualsiasi squadra, i cui segreti si mostrano solo quando le porte si chiudono. O almeno così dovrebbe essere. LeBron, da leader e veterano, è sempre stato piuttosto diretto nei suoi rimproveri, come bene potrebbe testimoniare Mario Chalmers, bersaglio preferito del Re durante i suoi anni a South Beach. Quest’anno in particolare LBJ non le ha mandate a dire, anzi lo ha proprio manifestato apertamente in campo e fuori. Sul parquet ci sono stati diversi esempi di insofferenza da parte sua, come la sfuriata verso Tristan Thompson durante una timeout contro i Pacers. Anche a freddo, però, LBJ si è levato più di un sassolino dalla scarpa. In un’intervista dopo la sconfitta del 23 gennaio a New Orleans contro dei Pelicans pur privi di Anthony Davis, LeBron disse ai cronisti:
“I just hope that we’re not satisfied as an organization. […] We’re not better than last year, from a personnel standpoint. […] It’s like when you don’t have bodies. It’s tough,” James said. “The f—ing grind of the regular season. We’re a top-heavy team. We have a top-heavy team. We top-heavy as s—. It’s me, [Kyrie Irving], [Kevin Love]. It’s top-heavy. […] We need a f—ing playmaker!
In una sola breve intervista, LeBron mise più o meno implicitamente sul banco degli imputati tutti i Cavs. Il proprietario Dan Gilbert, il GM David Griffin e tutti i giocatori che di cognome non fanno James, Irving o Love, sostanzialmente chiamandoli inadeguati a competere per un secondo titolo. Chiaro, lui aveva in mente i Golden State Warriors, battuti di un nonnulla all’ultimo minuto di Gara-7 e rinforzatisi con Kevin Durant durante l’estate. Dopo alcuni provini di scarso successo con playmaker svincolati, il GM Griffin estrasse dal cappello l’ennesima magica operazione di mercato, assicurandosi Deron Williams dai Dallas Mavericks senza dare nulla in cambio. Inoltre, dopo le ultime operazioni di addizione e sottrazione, i Cavs avranno avuto ben 22 giocatori diversi a libro paga durante la stagione 2016-17, fra cui spiccano le addizioni importanti (e senza sacrificare pedine fondamentali) di Kyle Korver e appunto Deron Williams, dopo che nelle ultime due estati erano stati trattenuti a fior di milioni Tristan Thompson e JR Smith.
In aggiunta a questi tre elementi chiave, è sempre buona regola controllare gli almanacchi, data la tendenza della storia a ripetersi nel tempo. Passiamo quindi in rassegna le ultime 6 stagione di LeBron, tutte culminate con l’accesso alle Finals, e confrontiamole con quella attuale, concentrandoci in particolare sulle ultime 20 partite stagionali, quelle che spesso e volentieri sono la banderuola che indica in che direzione soffia il vento.
Le prestazioni del solo LeBron non bastano a giustificare ogni singola oscillazione di anno in anno o di squadra in squadra, ma è pur vero che è sufficiente a spiegare come, se dove passava Attila non cresceva più erba, dove passa LeBron fioriscono invece le squadre. Alcune cose che la tabella non dice è che la maggioranza delle partite saltate, specie i primi 5 anni, sono in concomitanza con l’ultima e spesso inutile settimana di stagione regolare – eccezion fatta per il 2014-15 quando LBJ stette a riposo per due settimane per curare una serie di infortuni dal ginocchio sinistro alla schiena.
È facile notare che le maggiori similarità con la stagione in corso vengono dalla campagna 2013-14. Oltre a numeri simili nelle partite saltate e nel record finale, risaltano le almeno 10 sconfitte nel finale di stagione, la mancata conquista del primo posto ad est, un mediocre 5° piazzamento totale e, dato nascosto, il minutaggio. I 37.7′ di quell’anno sono quasi identici rispetto ai 37.8′ di quest’anno, dato con cui egli guida l’intera lega, pur avendo tre anni in più sulle spalle. A preoccupare un ultimo dato: l’ultima Miami di LeBron segnava meno, ma concedeva 97.4 PPG; l’odierna Cleveland concede addirittura 107.2 PPG, la 10° peggior difesa della lega (nel senso che in 20 ne concedono meno). Vero, numeri simili anche al 2011-12 del primo anello, ma essendo stata la stagione più corta a causa del lockout e essendo stato LBJ cinque anni più giovane, il dispendio fisico non è paragonabile.
Insomma, il trend fin qui analizzato pare suggerire che quest’anno LeBron e i suoi Cavs non sono destinati al repeat e nemmeno a passeggiare attraverso l’est per giungere alle Finals. Il primo turno contro Indiana non pone grossi ostacoli, anche perché dei Pacers ben più attrezzati di quelli odierni non sono mai riusciti a sconfiggere LeBron in una serie di playoff. Ma cosa sarebbe successo se avessero incrociato i Bulls o gli Heat, contro i quali i Cavs quest’anno hanno un record totale di 1-7? E al secondo turno, quali certezze nel fronteggiare i redivivi Raptors e i Celtics nuovi padroni dell’est? Sì, LeBron sarà anche stato a 6 finali consecutive, ma questo gruppo di giocatori “solo” a due e non è detto che per loro sarà facile cliccare un pulsante e passare da mediocri a eccellenti.
La stagione dei Cavs pare sia stata decisa a tavolino per fare il minimo sindacale in stagione e dare tutto ai playoff, centellinando le forze durante l’anno per andare al meglio contro l’armata Warriors a giugno. Ma forse a guardare troppo in avanti non ci si accorge di essersi incamminati su un percorso accidentato. Non essendo l’NBA una scienza esatta – e nemmeno una scienza, se è per quello – è impossibile programmare nei dettagli un’intera stagione. Al contrario, ora sembra che tensioni esterne e interne, oltre che grandi somiglianze con una passata stagione perdente, indirizzino già da ora il triste destino dei Cavs. Nessuno scommetterebbe contro LeBron, ma prima prima o poi il suo regno arriverà alla sua fisiologica fine. E quest’anno sembra possa essere quello dell’abdicazione del Re.
MVProf