Non è più il derby di Milano dei vostri (bianchi) padri

Da derby della Madonnina a derby dell’antica Cina

Storicamente, non è il momento migliore per trasognare un calcio romantico, quello con gli arbitri in giacca, i baffoni dello Zio Bergomi e i capelli sempre impeccabili di Javier Zanetti. Questo è evidente oggi più che mai alla vigilia di un derby milanese senza precedenti che offre lo spunto per una riflessione ad ampio respiro sullo stato attuale del calcio, meneghino e non solo. Oggi più che mai il calcio è un business, sempre più vicino al modello americano di macchina da soldi che non può permettersi di andare in rosso. Basti pensare ad esempio al nuovo flusso di dollari nell’NBA proveniente dalle tv americane che hanno permesso un’impennata nei salari dei giocatori già quest’anno. Ma non sentitevi troppo tristi per i proprietari: in proporzione, la fetta più grossa se la intascano loro. Il nuovo arrivato modello asiatico, ad uno sguardo iniziale sembra un po’ diverso da quello che siamo abituati a conoscere. Anzi, in un certo senso, USA e Cina non sono mai state così vicine come ora. In primo luogo, il modello cinese si dissocia categoricamente a quello a “conduzione familiare” dei club italiani, da cui sono negli anni spariti i Sensi, i Moratti e ora i Berlusconi, con gli Agnelli ultimo baluardo storico. Inoltre, pare discostarsi sostanzialmente anche dai petrodollari degli sceicchi che sconvolsero il calcio europeo ormai più di un decennio fa. Questi sono stati rapidi ad investire quasi a fondo perduto, per lo meno a fronte dei modesti risultati in ambito internazionale (vedi NasserAl-Khelaïfi al PSG e Khaldoon Al Mubarak del Manchester City) quanto GettyImages-493326018.jpga levare le tende – perdonate la battuta non voluta – in caso di “screzi” col fisco, come ben sa Abdullah bin Nasser bin Abdullah Al Ahmed Al Thani che nel 2010 comprò il Malaga salvo poi disfarsene in tempi record.

Innanzitutto le acquisizioni provenienti dall’estremo oriente paiono essere portate avanti tramite cordate e gruppi di imprenditori, non singoli uomini d’affari ultraricchi. Finora l’esempio più vicino a noi è stato quello di Erick Thohir, imprenditore indonesiano che ha rilevato l’Inter nel 2013, salvo poi rivenderla al gruppo Suning nel 2016. Lontano dalle spese folli che avevano contraddistinto il regime Moratti, il primo scopo di Thohir era stato rientrare nei parametri del Fair Play Finanziario, concetto introdotto negli ultimi anni proprio per evitare buchi giganteschi all’interno delle squadre di calcio. Certo, in materia di ammanchi societari varrebbe la pena di aprire una parentesi sulla differenza di trattamento delle squadre di Lega Pro con le corazzate di Serie A too big to fail come la Roma o l’Inter. Ma per ora glissiamo. Il concetto è comunque chiaro: il calcio non è più un affare di cuore per le proprietà dei club, ma un mezzo – fra i tanti – di accumulare capitale da reinvestire ulteriormente. Il che non sarebbe di per sé una nozione fuori dal mondo, non fosse che, almeno lì, a noi tifosi piace vedere un po’ di romanticismo. Tuttavia, da un punto di vista razionale, non è il tifoso a indebitarsi per cifre astronomiche, ma il suo presidente. Anzi, con delle presidenze più oculate non si arriverebbe forse a sciagure tutte nostrane come vecchi stadi vuoti e biglietti dai prezzi esorbitanti.

Qualcuno questo lo aveva già intuito da tempo. Thohir non avrà certo apprezzato le ripetute mancate qualificazioni alla Champions League, ma apparentemente il solo aver rivoluzionato l’assetto societario, unito all’opera di risanamento dei conti, ha fatto lievitare il valore dell’FC Internazionale da 300 a 500-600 milioni di euro (fonte Europort). Il che tradotto in moneta sonante ha portato al magnate indonesiano una plusvalenza attorno ai €50M. Un po’ come comprare un ferro vecchio dallo sfasciacarrozze, rimetterlo a nuovo e poi rivenderlo rientrando ampiamente dei costi. Poco importa che non ci sia stato il tempo di rodarlo su circuiti internazionali quando il profitto è così elevato. Dal canto suo, si dice che durante la sua presidenza Massimo Moratti abbia versato cifre superiori al miliardo di euro per foraggiare la sua Inter. Senza l’uragano Calciopoli e Mourinho, molto probabilmente staremmo parlando di un fallimento epocale su tutta la linea. Se non altro, il triplete ha messo un bel cerottone ad un buco finanziario di più di €400M che però non poteva rimanere sotto traccia ancora a lungo. L’avvento di Zhang Jindong, padre e padrone delle imprese Suning, è storia molto recente, ma di nuovo non pare contraddistinto da spese folli. A dispetto delle richieste insistenti di Mancini – poi silurato – Berlusconi-Yonghong-Li.jpgcome giocatori di rilievo sono arrivati solo Banega a zero e Candreva dopo una trattativa estenuante con la Lazio, perché si dice che Lotito volesse spillare fino all’ultimo euro e di contro Jindong non avesse alcuna intenzione di fare da bancomat.

Anche in casa dei cugini rossoneri del Milan, da pochi giorni si è iniziato a parlare mandarino, ma la trattativa (o le trattative) è stata di ben altro tipo. Ironico come uno dei primi articoli di questo blog, datato 7 agosto 2016, fosse stato un pezzo scritto in forma di simil-coccodrillo per celebrare nel bene e nel male quella che sembrava la fine dell’era di Silvio Berlusconi. Quanto scritto allora resta attuale e non vale la pena ripeterlo. Dall’annuncio della ricerca di partner in affari all’estenuante trattativa per concludere la cessione sono passati due anni e due mesi, un’enormità se paragonati ai tempi in cui Jindong a sua volta chiuse l’affare con Moratti. Tuttavia, dal 13 aprile è ufficiale il passaggio di consegne del Milan all’imprenditore cinese Yonghong Li. Dopo tante incertezze e dubbi, ora almeno le cifre sono ufficiali. Yonghong Li ha acquistato da Fininvest il 99,93% del Milan tramite la società Rossoneri Sport Investment Lux per €520M. Considerando altri versamenti contestuali, il totale lievita fino a €740M. Nel corso della trattativa, Yonghong ha versato due caparre da €100M più un’ulteriore mezza caparra da €50M. Il versamento dei mancanti €290M è avvenuta il 13 aprile, ponendo la fine ufficiale dell’era Berlusconi. Di lui si può dire tanto in negativo e forse altrettanto in positivo. Egli prese un Milan in un grave dissesto finanziario e lo vende ora in un’altrettanto grave situazione debitoria, con un rosso stimato di €220M. Nel mezzo, vale ribadirlo, ha versato di tasca propria circa €900M che hanno fruttato 29 trofei in 31 anni, numeri che lo hanno reso il presidente più vincente di sempre, al pari di Santiago Bernabeu (ma con migliore media di trofei per anno). Per quanto indubbiamente controverso, il Berlusconi presidente ha tutte le carte in tavola per ricevere un giorno l’onore di uno stadio intitolato a suo nome, alla stregua del modo in cui il Real Madrid celebrò il proprio presidente più titolato. Non poteva mancare infine la dichiarazione finale d’amore da parte dell’ex-Cavaliere, pur dopo aver rifiutato la carica di presidente onorario:

Lascio oggi, dopo più di trent’anni, la titolarità e la carica di presidente del Milan. Lo faccio con dolore e commozione, ma con la consapevolezza che il calcio moderno, per competere ai massimi livelli europei e mondiali, necessita di investimenti e risorse che una singola famiglia non è più in grado di sostenere. Non potrò mai dimenticare le emozioni che il Milan ha saputo regalarmi e regalare a tutti noi. Rimarrò sempre il primo tifoso del Milan, la squadra che mio padre mi insegnò ad amare da bambino, il sogno che abbiamo realizzato insieme. Ai nuovi responsabili rivolgo l’augurio più cordiale e sentito di realizzare traguardi ancora più straordinari di quelli ottenuti da noi.

Sebbene anche solo la punta dell’iceberg dei fatti relativi a vita, morte e miracoli di Berlusconi basti a riempire un’enciclopedia, del suo successore si sa davvero poco o niente. E la lontananza con la Cina non è una scusante. Se il gruppo Suning, così come il suo presidente Jindong, sono noti alla maggioranza dei cinesi, di Yonghong invece si conosce appena il suo ruolo nel mondo dell’edilizia e del packaging in compagnie come New China Building, Zhuhai Zhongfu Enterprise e Zhuhai Zhongfu Plastic Bottling Co Ltd. Anzi, il suo nome trova maggiori riscontri in ambiti meno nobili, come una causa per truffa negli anni ’90 oltre che una menzione nei malfamati Panama Papers. Illazioni più o meno verificabili a parte, restano note le cifre relative al suo patrimonio personale, stimato in poco più di $500M. Appare quindi bizzarro che, per sborsare per il Milan una cifra quasi identica alla propria disponibilità finanziaria – se non addirittura superiore – egli non zanetti-maldini-1170x658.jpgabbia fatto ricorso a soci in affari, ma sia rimasto l’unico protagonista in gioco. Al contrario, egli si è invece rivolto al fondo di investimento Elliott, attraverso cui ha raccolto più di 300 milioni di euro per concludere l’accordo con Fininvest, in attesa – secondo Yonghong – che il governo cinese scongeli presto altri fondi in precedenza reperiti. Per chi non lo sapesse, Elliott Management Corporation è un fondo americano specializzato in speculazione finanziaria di pesci grossi. Una su tutti l’Argentina, che durante la crisi dei bond del 2002 aveva con NML Capital, una costola di Elliott, un debito stimato in $2,3 miliardi, da cui il fondo non era affatto disposto a privarsi neppure di un centesimo. Il salatissimo tasso di interesse comminato da Elliott a Yonghong dell’11% comporta che, in caso di inadempienza, il fondo potrà rilevare le proprietà dello stesso uomo d’affari cinese, tra cui appunto figura da ora il Milan. Almeno per un giorno, i mille dubbi sul futuro di Milan e Inter passeranno in secondo piano grazie al 289° derby della Madonnina in programma per la prima volta in assoluto alle 12:30 – mossa che strizza l’occhio proprio al mercato cinese, dove l’orario coincide col prime time di Pechino. Sabato a parlare sarà il campo, e lo farà in un linguaggio comprensibile a tutti, anche da chi per ora sa solo esclamare “Fozza Inda!” o “Fozza Mila!”

MVProf

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