LeProblem, LeDrama & LePlayoff
LeBron rimane al centro di tutte le (s)fortune degli LA Lakers
C’è un momento che meglio di tutti racchiude l’essenza del periodaccio dei Los Angeles Lakers. Da canestro subito, uno dei giocatori dei giallo-viola raccoglie il pallone, ma nel tentare un passaggio a un compagno lo fa rimbalzare sul retro del tabellone e di fatto regala agli avversari un altro possesso. Peccato che il giocatore in questione non fosse un Muscala qualunque e nemmeno l’uomo-meme Lance, ma bensì LeBron James. Ecco che allora quella giocata da Shaqtin’ a Fool non descrive solo la crisi dei Lakers, ma anche quella del loro presunto salvatore e profeta. L’origine della crisi è da rintracciare a partire dal giorno di Natale, quando l’infortunio all’inguine ha costretto King James a saltare 18 delle successive 19 partite. Come raccontato in quel frangente, in gennaio i lacustri hanno faticato enormemente a mantenere la testa sopra il livello dell’acqua e restare competitivi con i propri giovani talenti. Sono infatti arrivate per loro appena 6 vittorie in 18 partite.
Il 1 febbraio, LeBron è riemerso dalla vasca di rianimazione in stile Vegeta e nella prima partita dal suo rientro ha postato una stat line da 24 punti, 14 rimbalzi e 9 assist in 40 minuti di gioco nella vittoria in OT contro i Los Angeles Clippers. Insomma, doveva essere l’inizio della rincorsa a quel 4° posto scivolato dalle mani proprio dal giorno di quello sfortunato infortunio. In realtà, dal rientro di LBJ le cose per i Lakers sono addirittura peggiorate. Sul campo, la squadra ha portato a casa solo 4 successi su 12 partite. Gli ultimi dieci giorni, poi, sono stati un vero disastro laddove ci si aspettava una reazione. Passi la sconfitta contro i Milwaukee Bucks, pur arrivata dilapidando il vantaggio nel finale, ma è inaccettabile raccogliere L in sequenza da squadre in pieno tanking come i New Orleans Pelicans, i Memphis Grizzlies e i Phoenix Suns. Discorso simile per la sconfitta di lunedì contro i Clips, che con meno talento restano in piena corsa playoff.
Al di là dei disastri in campo, non meno preoccupanti sono i segnali lanciati dai propri leader. La volontà di Anthony Davis di lasciare NOLA è stata la storyline più seguita del mese scorso e ha visto i Lakers parte stra-interessata della vicenda. La volontà di Magic Johnson mettere sul piatto letteralmente metà del proprio roster pur di arrivare a AD si è però rivelata controproducente. Una volta sfumato l'(ennesimo) affare, i giocatori rimasti si sono comprensibilmente sentiti sfiduciati. E soprattutto il ruolo di LBJ come loro leader ne è uscito distrutto. Dopo aver di fatto invitato in precedenza i compagni di squadra non all’altezza a mollare, contro i Bucks un frustratissimo LeBron ha imboccato la via degli spogliatoi diversi secondi prima della sirena di fine match. Come prevedibile, i compagni non hanno reagito positivamente. In fondo, perché stare a sentire Magic, coach Walton e LeBron, ovvero chi ha fatto di tutto per spedirli in Louisiana appena un mese fa?
Allo stato attuale delle cose, i Lakers (30-34) hanno 5 ½ partite da recuperare ai San Antonio Spurs, 8ª squadra a ovest. Le 18 partite rimanenti presentano però enormi ostacoli. Nei prossimi giorni, i giallo-viola dovranno vedersela con Nuggets, Celtics, Raptors e Bucks, per poi chiudere la stagione contro Thunder, Warriors, Jazz e Blazers. Stando alle proiezioni, le chance di agguantare un posto ai playoff sono appena 0.9%. A inizio anno, era apparso chiaro che questa sarebbe stata una stagione di transizione per i Lakers, specie dopo aver solo accarezzato i sogni Kawhi Leonard e Paul George. Ma, a livello personale, per LeBron questa stagione rischia di diventare un vero disastro. Il 23 avrebbe di fatto sprecato la stagione numero 17, sofferto l’infortunio più grave in carriera e subito un duro colpo alla sua legacy. Dopo otto NBA Finals consecutive, mancare del tutto i playoff nel primo anno nella Western Conference non è roba da GOAT.
MVProf