La trade dell’unicorno
L’addio di Porzingis getta dubbi e ombre sul futuro dei Knicks
Passata la trade deadline senza ulteriori affari clamorosi, è tempo di ragionare a freddo su quella che è stata la trade più importante di questa sessione di mercato. In settimana, i New York Knicks hanno deciso di spedire Kristaps Porzingis, insieme a Tim Hardaway jr, Trey Burke e Courtney Lee, ai Dallas Mavericks in cambio di DeAndre Jordan, Wesley Matthews, Dennis Smith jr e due prime scelte (2021, 2023). Nonostante il lettone fosse già stato in odore di trade già durante il regime di Phil Jackson, la giornata che ha portato all’addio ai Knicks è stato un susseguirsi di colpi di scena. Porzingis, ancora out a causa dell’ACL che lo tiene ai box da esattamente un anno, si era incontrato col management dei newyorkesi per discutere alcuni punti-chiave come l’attuale e prolungato trend negativo della franchigia, e le prospettive per il futuro. Stando ad Adrian Wojnarowski, KP sarebbe uscito dal meeting dando l’impressione di voler lasciare New York. Nemmeno il tempo di assimilare la notizia e di metter mano alla trade machine, che lo stesso Woj ha twittato di una trattativa in corso fra Knicks e i Mavs. Pochi minuti dopo, Porzingis era un nuovo giocatore dei Mavs.
Dal punto di vista dei texani, la trade è un no-brainer. Prima di tutto, porta a Dallas un altro giovanissimo talento da affiancare a Luka Doncic e crea un duo europeo che, come suggerito da Mark Cuban, potrà assicurare alla franchigia vittorie per la prossima decade e forse più. Il modus operandi dietro a questa trade è peraltro molto simile a quello attuato in sede di draft sia quest’anno per assicurarsi Doncic sia nel 1998 per mettere le mani su un certo Dirk Nowitzki. In altre parole, offrire un importante investimento di risorse al draft in cambio di un giocatore dal sicuro avvenire. Ma a cosa serve il draft se non a cercare talenti? E i Mavs non dovranno ricorrere a scouting e interviste per capire che il materiale umano già a disposizione è ottimo. Certo, resta il non indifferente caveat dello stato dell’infortunio di Porzingis: la riabilitazione proseguirà ora in Texas, ma è implicito che, se non tornerà più ai livelli di prima, questa trade sarà stata un disastro. Per quanto riguarda PorzinGod, questi troverà a Dallas ciò che gli è sempre mancato nella Grande Mela: un coach esperto, una società competente e, ciliegina sulla torta, un veterano in Nowitzki a fargli da mentore.
Il discorso si fa assai meno incoraggiante se si va ad analizzare l’affare dal lato dei newyorkesi. Senza mezzi termini, i Knicks rischiano di aver fatto uno dei peggiori affari della loro storia. Come per i Mavs, è quasi ininfluente guardare ai pezzi di contorno arrivati via trade. Wesley Matthews è già stato tagliato e anche DeAndre Jordan è un serio candidato al mercato dei buyout. DSJ è di certo il giocatore più interessante e di maggiore prospettiva, ma sarebbe già potuto arrivare a New York durante il Draft 2017, quando però Jackson optò per Frank Ntilikina. Il che getta un’ombra anche sulle due prime scelte incluse nell’affare, vista la pessima mano del management nel scegliere talenti… beh, eccetto Porzingis. Il vero obiettivo della trade era però quello di liberare spazio salariale per il mercato estivo dei free agent. Scaricando l’oneroso contratto di Hardaway (sulla cui gestione bisognerebbe aprire un capitolo a parte) ed evitando l’estensione max a Porzingis, New York ha creato un cap space di quasi $75M sufficiente a dare la caccia in estate a due max free agent. Insomma, dopo anni di pessima gestione del cap, la franchigia si ritrova finalmente un bel malloppo da investire. Futuro assicurato? Calma.
Non va infatti scordato il recente curriculum dei Knicks alla caccia dei top free agent. Nel 2010 sognavano LeBron James ed è arrivato Amar’e Stoudemire, mentre nel 2016 puntavano Kevin Durant salvo poi firmare Joakim Noah. Quest’anno gli obiettivi principale sono Durant (di nuovo) e Kyrie Irving, due dei FA più ambiti. Sarebbe però folle ritenere la nuova disponibilità economica e l’ormai arrugginito blasone dei Knicks come motivi sufficienti per sognare in grade. Per quale motivo KD dovrebbe passare dal giocare (e vincere) con Curry, Klay e Green, a dividere il parquet con Knox, Ntilikina e DSJ? E se Kyrie sta avendo tuttora problemi nel tirare fuori il meglio da giocatori come Tatum e Brown, come aspettarsi migliori risultati con chi in carriera ha fin qui conosciuto solo sconfitte?
Il lato manageriale non è certo da meno, visto il netto downgrade fra gli attuali coach Kerr e Stevens rispetto a Fizdale, nonché fra i GM Myers e Ainge, e il novellino Scott Perry. Se la stessa mossa fosse stata compiuta dagli Heat di Pat Riley o dagli Spurs di Gregg Popovich, allora sarebbe legittimo supporre l’esistenza di un piano ben preciso e avviato. Al contrario, non esiste un singolo indizio nelle scellerate scelte operate in carriera da James Dolan che spinga a dargli il beneficio del dubbio. Un management più competente sarebbe riuscito a usare KP per invogliare giocatori affermati a unirsi a lui, e non a sacrificare il migliore lungo scelto al draft dai tempi di Patrick Ewing come incentivo per un salary dump. Sarebbe tristemente difficile ritenersi sorpresi se, invece di Durant e Irving, i Knicks finissero per maxare Kemba Walker e Bojan Bogdanovic.
MVProf