La leggenda di Jimmy GQ

L’ascesa di Jimmy Garoppolo sta travolgendo tutto e tutti come un fiume in piena

Sta montando di settimana in settimana il culto di un nuovo idolo in NFL: quello di Jimmy Garoppolo. E, francamente, sta sfuggendo di mano. Per dare un’idea, un anno fa anche i media più accreditati sbagliavano lo spelling del suo nome, mentre ora c’è già chi insinua che a Canton gli stiano già preparando con grande omertà e in maniera preventiva il busto per il suo ingresso nella Hall of Fame. A metà tra boutade e speranza, le azioni di Jimmy Garoppolo sono in impennata pazzesca. Con la speranza che, a differenza del bitcoin, per lui le fluttuazioni siano meno drastiche. Uscito dopo quattro anni a Eastern Illinois, Garoppolo ha speso i suoi primi tre anni con i New England Patriots, che su di lui avevano investito una preziosa seconda scelta al Draft 2014. Sotto gli abili insegnamenti del vate Bill Belichick, Garoppolo era stato infatti individuato come delfino destinato a succedere al trono di sua maestà Tom Brady.

Poche, pochissime chance nei primi due anni per Garoppolo di mettersi in mostra dietro a tale mostro sacro di bravura e costanza, almeno fino allo scoppio del Deflategate. È infatti all’inizio della stagione 2016, con Brady sospeso per quattro partite, che Garoppolo ha la grande chance di mostrare al mondo le sue qualità. E non ha deluso, pur finendo KO a metà della seconda partita. Nonostante voci di un forte interessamento di diverse squadre, Garoppolo è rimasto il vice di Brady anche per il quarto anno, fungendo da “assicurazione sulla vita” di Brady. Questi, che ha cominciato la stagione in corso alla veneranda età di 40 anni, avrebbe potuto subire un crollo verticale di prestazioni in qualunque momento e Garoppolo era lì a garantire un affidabile paracadute. Al contrario, l’apparente immortalità sportiva di Brady, coadiuvata da una dieta maniacale e misteriosi trattamenti avanguardisti alla polvere di fata, ha prodotto un’ennesima stagione da MVP. Tanto da far diventare il Risultati immagini per brady garoppolobuon Garoppolo – nel frattempo diventato noto come Jimmy G – da un lusso a un potenziale problema. Perché Jimmy G è davvero bravo. Anche troppo bravo.

Il suo contratto era in scadenza a fine 2017 e questo poneva due tipi di problemi, economici e personali. Che si trattasse di firmare un nuovo contratto pluriennale o un franchise tag, in entrambi i casi Jimmy sarebbe passato alla cassa con un voluminoso sacco col simbolo del $ sopra. A prescindere dalla casistica, stiamo infatti parlando di una cifra che sarebbe potuta oscillare dai $15M (à la Andy Dalton) ai $23.5M non negoziabili del tag. Per i Patriots, impensabile elargire a due soli giocatori, per di più nello stesso ruolo, il 25% di un budget previsto per 53, specie in una lega con un inflessibile hard cap (qui le info). Ad ogni modo, tenere ancora il giocatore in naftalina si sarebbe scontrato col secondo problema, ovvero il fattore umano. Per carità, tre anni a Boston gli hanno già fruttato due anelli, ma Jimmy G spingeva per diventare un franchise quarterback da subito. Passare altro tempo in panchina avrebbe diminuito il suo appeal e forse lasciato che altre squadre in cerca di QB si organizzassero altrimenti. Basti vedere l’impatto immediato dei giovani virgulti Wentz, Goff e Watson. No, basta aspettare. Per Jimmy G questo era l’hic et nunc. E il qui non poteva essere più New England. A ottobre, con Brady scintillante come non mai, era chiaro a tutti, Garoppolo in testa, che la sua carriera sarebbe dovuta proseguire altrove.

E così, il 30 ottobre, i Pats hanno deciso di spedire Jimmy G ai San Francisco 49ers in cambio di una seconda scelta al prossimo draft. Strano? Abbastanza, e non solo per la magra contropartita. In genere, Belichick ha la fama del rigattiere che, se compra una carretta, la trasforma in fuoriserie, e se vuole vendere una villa, probabilmente in realtà sta appioppando una catapecchia. Storicamente, quasi nessuno ha prosperato una volta uscito dalla corte di Belichick. Nello specifico, chiedere per informazione a tutti i backup che negli anni hanno fatto compagnia a Brady nel roster. Questi o sono scomparsi nel nulla (Rohan Davey chi? e cos’è un Kliff Kingsbury?) o sono implosi appena un’altra squadra ha puntato su di loro. Pensate a Matt Cassel, che portò i Patriots del 2008 sans Brady ad un record di 11-5 e ingolosì i Kansas City Chiefs. Futuro fenomeno? Mica tanto. Da allora è rimbalzato in cinque squadre in nove anni, vincendo 26 partite e perdendone 41. Ed è anche grazie a questo cautionary tale che si è sviluppata l’idea che chiunque sotto l’ala di Belichick potesse avere successo e che perfino Brady fosse solo un buon QB in un ottimo sistema. Insomma, il dubbio era reale: e se Belichick fosse ancora una volta un passo avanti a tutti? E se nella sfera di cristallo avesse visto in Jimmy G nulla di diverso da un qualunque altro buon QB da plasmare in qualsiasi momento?

Eppure, le vibrazioni emanate da Jimmy G erano diverse. Dal suo arrivo nella California del nord, Garoppolo è stato visto con un mix di ammirazione e timore. Bello da vedere col suo fascino italiano e mascella da divo hollywoodiano di razza, nonché atleta con un potenziale da far trasognare. Ma anche fragile, poiché calato all’interno di una squadra che più diversa dai Patriots forse non esiste. Definire traballanti i Niners di questi tempi è come dire che nel 1906 a San Francisco si avvertì un leggero shakeramento. La franchigia stava infatti vivendo una delle pagine più buie della propria prestigiosa storia. Un filone tragico che va dalla sconfitta del 2012 al Super Bowl XLVII DSa0XN3XkAAK3cZ.jpgal peggior inizio di stagione della franchigia a 0-9 di quest’anno, passando per l’addio di Jim Harbaugh e i dissidi creati dalla protesta di Colin Kaepernick. Prima dell’arrivo di Garoppolo, quest’anno la squadra era stata gestita da Bryan Hoyer (ebbene sì, altro ex-delfino di Brady) e dal modesto rookie C. J. Beathard. Gettare Garoppolo nella mischia da subito non sembrava pensabile, troppo alto il rischio di bruciarlo e troppo basso il numero di partite giocate per un giudizio ponderato.

Invece, un infortunio occorso a Beathard in Week 12 ha obbligato coach Shanahan a bruciare i tempi. Con Beathard fuori dai giochi (peraltro uscito con la ola del pubblico, non proprio entusiasta del rookie), Garoppolo ha preso i galloni da titolare e non li ha più lasciati. E come poteva? Cinque partite da titolare e cinque vittorie con numeri da fuoriclasse. 118 su 176 con il  66.7% di completi, per una media di 308.4 yard a partita (stra-primo fra tutti i QB) con 7 TD e 5 INT per un ottimo rating di 96.2. Calcolando le precedenti due partite da titolare nel 2016 con i Pats, Garoppolo è 7-0 nelle partite iniziate da titolare, un record di imbattibilità che non capitava a un QB dal 2004 con Ben Roethlisberger. Ah, e nel mentre ha messo a ferro e fuoco i Jacksonville Jaguars, la miglior difesa NFL, con 44 punti. Con un inizio del genere, c’è da chiedersi se presto Joe Montana non diventerà che l’altro grande QB della storia dei 49ers e Brady solo un suo noto ex-compagno di spogliatoio. La faccia pulita già c’era, il pedigree era di ottimo livello e ora i numeri stanno diventando fuori controllo. Jimmy G è così diventato Jimmy GQ, una perfezione da magazine patinato. E chi lo ferma più? Per ora, solo la naturale fine della stagione NFL. Ma soprattutto, chi lo dice al vate di aver (forse) sbagliato mossa?

MVProf

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *