Un anno in parallelo
Durant e Leonard hanno vissuto gli ultimi dodici mesi in maniera speculare
Quanta differenza può fare un anno? Chiedetelo a Kevin Durant e Kawhi Leonard. Lo scorso giugno, il primo impugnava in una mano il Larry O’Brien Trophy e nell’altra il Bill Russell MVP Award, mentre il secondo era costretto ai box da un grave infortunio. Un anno dopo, la situazione si è perfettamente capovolta. Se gli allori ricevuti da Leonard sono certamente meritati, non va scordato che Durant stava dominando questi playoff: a ulteriore riprova, KD è stato il primo della storia a chiudere una postseason tirando almeno col 50-40-90 e almeno 30 punti (nello specifico, 51%-44%-90% con 32.3 punti). Forse ciò è non è stato sottolineato a sufficienza, ma è un’enorme sfortuna che gli infortuni dell’ex Texas ci abbiano privato di un pirotecnico KD vs Kawhi, situazione che ricorda un po’ come purtroppo nemmeno LeBron e Kobe si siano mai incrociati alle Finals. Le loro traiettorie si sono incrociate solo per 12 minuti e 9 secondi, ovvero il tempo sufficiente affinché KD debuttasse in queste Finals e ne uscisse subito dopo con un tendine d’Achille in meno.
La reazione più significativa dopo il terribile infortunio è arrivata da Bob Myers, lo stimato president of basketball operations dei Golden State Warriors. Con la voce strozzata e gli occhi gonfi, dal podio della sala stampa ha confermato la prima diagnosi infortunio al tendine e poi ha fatto una sorta di mea culpa affermando che “I don’t believe there’s anybody to blame but I understand this world. If you have to, you can blame me.” I dettagli esatti della vicenda resteranno forse sempre confusi, ma alcune circostanze ormai di dominio pubblico offrono comunque sufficienti spunti per analizzare i fatti in questione. Con la serie finale sul 3-1, il ritorno di KD poteva configurarsi epico quanto l’arrivo di Gandalf al Fosso di Helm: non solo avrebbe potuto invertire l’inerzia della serie, ma anche lavare la doppia onta della rimonta del 2016 – sia la sua con OKC che quella dei Dubs contro i Cavs. E in quei minuti passati sul parquet Durant ha davvero brillato di luce propria, con 11 meravigliosi punti in altrettanti minuti.
Ma non appena ha provato a fare – letteralmente – il passo più lungo della gamba, è arrivato il secondo stop. Stavolta definitivo. Ecco allora che il tema della colpa citato da Myers diventa preponderante. I dottori dei Warriors – ma pare anche quelli personali del giocatore, va sottolineato – avrebbero concesso il nulla osta a Durant alla vigilia di Gara 5, forti dell’idea che l’infortunio al polpaccio patito nella serie contro gli Houston Rockets non potesse peggiorare. Hmm… Fan e media cavalcavano da settimane la narrativa che a Golden State non occorresse Durant per vincere il titolo, ma questi che fosse un lusso più che una necessità. Ehm… A mettere ulteriore salsa piccante sulla vicenda ci ha pensato il reporter Sam Amick, che in un articolo per The Athletic raccontava la confusione e la frustrazione di alcuni fra le fila dei Warriors circa la prolungata assenza di KD, specie quando giocatori pur acciaccati come Thompson, Cousins, Iguodala e Looney avevano stretto i denti ed erano regolarmente scesi in campo lo stesso. Mah…
È difficile provare quali o quante di queste voci arrivate all’orecchio di Durant lo abbiano persuaso a ignorare i segnali del proprio fisico; o se piuttosto sia stata la sua anima competitiva a convincerlo a mettere a rischio la sua carriera per tornare in campo. Ma il prezzo si è rivelato salatissimo. Fra le stelle che prima di lui hanno subito questo tipo di infortunio si ricordano Wilkins nel 1992, Brand nel 2007, Kobe nel 2013 e il compagno Cousins proprio lo scorso anno. Consultando i registri, si evince che questi in media abbiano passato 269 giorni fuori dal campo prima di farvi ritorno in una versione meno esplosiva che in passato. In base a tale indicazione di massima, il rientro di KD cadrebbe verso inizio marzo 2020, ma è anche vero che proprio le circostanze che hanno portato all’infortunio potrebbero convincerlo a saltare la prossima stagione per intero. Quello che possiamo però fare è compiere un ulteriore parallelo fra le due superstar NBA del momento. L’infortunio che aveva colpito Kawhi lo scorsa anno era solo all’apparenza meno insidioso: la sua tendinopatia aveva assunto contorni misteriosi quando, sebbene per i San Antonio Spurs il giocatore fosse guarito, questi non si sentisse pronto a rientrare.
Leonard non ha mai vacillato dalla sua posizione, sebbene ciò abbia significato perdere praticamente un’intera stagione e al contempo scendere in una specie di guerra fredda contro dottori, coach, compagni, fan e media. La sua volontà di tornare solo e unicamente al 100% gli è soprattutto costato quello che pareva un esilio nella gelida Toronto, ma che si è poi trasformato in un incredibile successo da protagonista assoluto. Ora Kawhi ha in mano le chiavi del proprio destino, California o Canada che sia. Da par suo, anche Durant ha diverse opzioni da valutare con massima attenzione. KD ha una player option da $31.5M inaugurare il nuovo Chase Center, ma i Dubs possono anche offrirgli un contratto da 5 anni a $221M. Se però i rapporti con compagni e/o dirigenti fossero diventati tossici, tale scenario sarebbe da escludere a priori. Ad attenderlo a braccia aperte anche sul letto da ospedale sono poi i New York Knicks, i Brooklyn Nets e i Los Angeles Clippers, le tre principali indiziate a strapparlo alla Baia. La speranza è che, dovunque sceglierà di andare, KD potrà tornare la superstar che conosciamo, magari sfidando proprio Kawhi in finale.
MVProf