Il peggio del meglio
A più di un decennio di distanza due squadre di LBJ si sfidano a distanza
Per il quarto anno consecutivo, la conquista del titolo NBA sarà una questione privata fra Golden State Warriors e Cleveland Cavaliers. Per quanto alla vigilia della stagione in molti si aspettassero questo faccia a faccia, l’assurda annata vissuta dai Cavaliers ha messo in dubbio a più riprese la loro presenza all’interno della serie finale. Come raccontato da Dave McMenamin nel suo pezzo per ESPN, i Cavs hanno dovuto sopravvivere ad una tale quantità di piccoli-grandi drammi sportivi da far sembrare una singola stagione lunga come sei messe assieme. Di tale lunga serie di tribolazioni, iniziata in estate con la trade di Kyrie Irving e passata fra litigi, crisi di panico e zuppe volanti, sembrava poterne approfittare indirettamente lo stesso LeBron James, di cui tutti abbiamo ammirato una stagione individuale senza precedenti, poi proseguita nei playoff. A maggior ragione, il netto contrasto con la scarsa produzione ricevuta dai suoi compagni di squadra gli avrebbe fornito non solo un assist ideale per giustificare gli insuccessi di squadra, ma anche una facile via d’uscita in estate dalla trappola di Cleveland. King James invece ce l’ha fatta e per l’ottavo anno di fila si trova a giocarsi il Larry O’Brien Trophy sul palcoscenico più prestigioso al mondo.
Per alcuni, questo traguardo – a prescindere dal risultato ultimo delle Finals – è il risultato più impressionante della carriera di LeBron. Una voce autorevole fra i sostenitori di questo pensiero proviene dal giornalista sportivo Chris Broussard, intervenuto sull’argomento a The Herd. A ulteriore riprova di ciò, nella sua intervista ha affermato che i Cavs del 2018 sono “il peggior collettivo di sempre che [LeBron] abbia mai portato fino a questo punto dei playoff.” Il parallelo più ovvio fra le squadre meno competitive di LeBron è quello con i Cavs del 2007, fino ad ora considerati fra le squadre più improbabili di ogni epoca ad approdare alle Finals. Ma è giusto definirli un collettivo migliore di quello di quest’anno?
Per capire quale delle due squadre sia effettivamente la peggiore esamineremo le squadre nel dettaglio. Il quintetto titolare dei Cavs del 2006-07 comprendeva, oltre a LeBron, Larry Hughes (G), Sasha Pavlovic (G), Drew Gooden (F) e Zydrunas Ilgauskas (C). Dal pino uscivano invece Booby Gibson, Damon Jones, Donyell Marshall ed Anderson Varejao. Hughes era il cosiddetto secondo violino di LBJ, pur contribuendo con appena 15 punti di media a partita. Doppia cifra di media che nell’arco della stagione veniva poi raggiunta da Gooden, Ilgauskas e nessun altro. Sarebbe però un’operazione incompleta basarsi su cifre con valore assoluto, per di più nell’NBA assai diversa di un decennio fa. Basti pensare che nel 2007 solo due squadre avevano una media di più di 100 punti a partita, mentre quest’anno solo due hanno avuta una media inferiore a 100. Meglio allora fare uso delle statistiche avanzate e analizzarle relativamente alle altre 29 squadre.
Nello specifico useremo l’Offensive Rating e il Defensive Rating, dati forniti da Basketball Reference. I Cavs del 2007 avevano un modesto 18° Off Rtg della lega, ma un ottimo 4° Def Rtg. Questo racconta chiaramente di una mentalità di squadra votata alla difesa, modus operandi che – come vedremo poi – è l’esatto opposto dei Cavs odierni. Chiuso l’anno col record di 50-32, ai playoff Cleveland ha portato avanti un impressionante percorso fino alle Finals. Al primo turno è arrivato il 4-0 ai Washington Wizards, mentre in seguito sono stati i New Jersey Nets ad inchinarsi per 4-2. In finale ad est, Cleveland ha sconfitto 4-2 i Detroit Pistons soprattutto grazie all’epica Gara 5 di LeBron, chiusa con 48 punti, di cui 25 consecutivi fra 4° quarto e overtime.
Passiamo ora all’anno in corso. Di questo roster, i giocatori col minutaggio più alto dopo il re sono stati JR Smith (G), Kyle Korver (G), Jeff Green (F) e Kevin Love (C). Principale risorsa di LBJ è stato Love, 18 punti e 10 rimbalzi di media in una stagione che pure lo ha visto costretto a saltare un mese e mezzo per via di una frattura al quinto metacarpo. L’ex UCLA è anche stato convocato all’All Star Game di Los Angeles per la 5ª volta in carriera. Vale la pena ricordare che non solo nel 2007 nessun giocatore oltre a LBJ aveva avuto quell’onore, ma anche che di quel team solo Big Z ne aveva registrate in precedenza (2003 e 2005). Gli altri giocatori a dividere il parquet con LeBron quest’anno sono stati George Hill, Jordan Clarkson, Tristan Thompson e Larry Nance jr. Di questo collettivo, ben sette giocatori hanno messo a referto almeno 10 punti a partita, compresi i desaparecidos Rose, Thomas e Wade, spediti ad altri lidi nelle numerose operazioni in entrata e uscita di gennaio. Statisticamente, i Cavs hanno chiuso l’anno col 5° miglior Off Rtg in NBA, contrapposto però ad un impietoso penultimo posto per Def Rtg. Come undici anni fa, Cleveland è arrivata ai playoff con l’identico record di 50-32 ed è poi giunta alle Finals. Avversarie ai playoff sono state in ordine di tempo gli Indiana Pacers (4-3), i Toronto Raptors (4-0) e i Boston Celtics (4-3). In questo percorso, LBJ ha compiuto gesta al limite dell’eroico, come due buzzer beater, tre triple-doppie e sette partite con almeno 40 punti.
Siamo quindi giunti al momento di trarre le fila del discorso. La corsa al titolo della prima Cleveland, interrotta sul più bello dai ben più esperti San Antonio Spurs, non poteva contare che su un solo All Star, nessun aiuto via trade e nessuna esperienza di Finals. Per di più, ai playoff i Cavs hanno dovuto affrontare futuri Hall of Famer come Kidd, Carter, Billups, Hamilton e Wallace. Al contrario, i Cavs di quest’anno contano su due All Star (dopo aver tradato il terzo), un restyling di metà stagione, l’esperienza del nucleo del team e avversari di postseason modesti come Oladipo, Bogdanović e i fantasmi di Lowry e DeRozan, nonché essere stati avvantaggiati dalle assenze pesanti di Irving e Hayward. I dati fin qui accumulati delineano una conclusione difficile da confutare: non solo i Cavs della stagione 2006-07 erano inferiori, ma sono anche stati i maggiori overachiever, ovvero quelli che hanno maggiormente superato le aspettative a dispetto di numerosi fattori avversi. La più profonda discriminante che separa di netto due team comunque simili sotto molti aspetti è però un’altra. Nel 2007, il ruolo di LeBron – ferma restando la sua centralità nelle fortune di Cleveland – si limitava a quanto espresso in campo. Oggi, un LeBron più maturo ha voce in capitolo pressoché in qualunque area decisionale, dal management ai giocatori. In altre parole, chi sostiene che il team odierno è peggiore, oltre che lodare le gesta del Prescelto, dovrebbe anche riconoscerne le colpe.
Perché se oggi i Cavs non hanno un’identità di gioco per via dell’inesperienza di coach Lue, è anche colpa di LeBron. Se la difesa latita per via dei troppi tiratori perimetrali, è anche colpa di LeBron. Se gli strapagati Thompson e JR hanno sia deluso sia intasato il cap, è anche colpa di LeBron. Se i nuovi arrivati Hood e Nance jr sono crollati sotto la pressione del proprio ruolo, è anche colpa di LeBron. Se Kyrie si è sentito alienato al punto da chiedere una trade per andarsene da Cleveland… beh, avete capito il ritornello. La serie finale contro i favoriti Golden State Warriors vede le speranze di titolo di Cleveland appese a un filo. Ma questa situazione, nel bene e nel male, è in gran parte frutto delle scelte di LeBron.
MVProf