This ain’t it, Chief

Kareem Hunt e il cancro della violenza domestica in NFL

È un film già visto, un’ennesima variazione sul tema di una storia ormai trita e ritrita. Non si tratta però di un qualche nuovo adattamento di A Christmas Carol sotto Natale, ma di un nuovo scandalo di violenza che travolge l’NFL. Kareem Hunt è stato rilasciato dai Kansas City Chiefs in seguito alla diffusione da parte di TMZ di un video in cui si vede il running back nei corridoi di un hotel a Cleveland urtare, spingere e calciare una giovane donna. Le testimonianze, come prevedibile, sono discordanti riguardo al casus belli, ma immagini così impietose mettono in secondo piano eventuali questioni di sesso o insulti. Nonostante l’incidente risalga allo scorso febbraio, solo con la visione delle immagini se ne sono avvertiti gli effetti. Il motivo è che inizialmente i Chiefs avevano effettuato il classico damage control affrontando la questione internamente con il giocatore, fidandosi della sua testimonianza e di fatto chiudendo il fascicolo del caso in fretta. L’NFL avrebbe creduto ciecamente alle conclusioni della franchigia del Missouri, tanto che non avrebbe nemmeno intervistato né Hunt né tantomeno la ragazza.

Il filmato tuttavia inchioda Hunt senza appello e ne svela le menzogne di cui si era macchiato. Incredibile ma vero, nessuna delle parti era riuscita a consultare le telecamere a circuito chiuso dell’hotel. Se la ragazza poteva avere i suoi motivi per non ritornare sulla questione e Hunt sperava di poter voltare pagina, i Chiefs avrebbero avuto l’obbligo morale di consultare le immagini, pur nella consapevolezza che immagini compromettenti li avrebbero costretti a prendere decisioni drastiche. Rimane però inspiegabile l’immobilismo della lega e del commissionerKareem Hunt video TMZ Roger Goodell, che in quanto super partes non dovrebbero avere remore nell’investigare in maniera meticolosa e quindi ad applicare alla lettera un regolamento creato da loro stessi.

Tale decalogo, peraltro, fu implementato circa quattro anni fa all’indomani di un incidente quasi identico a quello di Hunt, proprio perché avvenuto sempre a febbraio in un hotel, con protagonista un running back NFL. Allora si trattava di Ray Rice, che con un pugno fece perdere i sensi alla fidanzata e poi la trascinò per i capelli fuori dall’ascensore. Sette mesi più tardi, TMZ pubblicò il video dell’incidente e a quel punto i soli due turni di squalifica comminati inizialmente dall’NFL apparvero troppo poco. Rice fu licenziato dai Baltimore Ravens e sospeso a tempo indeterminato dalla lega: da allora, non ha più giocato un singolo snap fra i pro.

In apparenza, la gravità della vicenda sembrò fare giurisprudenza in materia di violenza domestica all’interno del cosiddetto Personal Conduct Policy. I trasgressori sarebbero stati puniti con sei giornate di squalifica, mentre per i recidivi sarebbe stata previsto addirittura il bando a vita. Gli episodi – fra gli altri – di Josh Brown, Greg Hardy, Ezekiel Elliott, Jameis Winston e Reuben Foster, senza considerare il compagno di squadra Tyreek Hill, hanno però dimostrato che sussistono tuttora trattamenti di volta in volta diversi per una casistica pressoché identica e, almeno in teoria, ben regolamentata. E il caso di Hunt non fa che aggiungersi a questa lista. Per quale motivo l’NFL, una lega che ha speso milioni per verificare la quantità di aria all’interno di un pallone e che è integerrima nel punire chi fuma marijuana, continua a dimostrarsi – se non quantomeno impreparata – incapace di trovare un briciolo di costanza nel trattare i casi di violenza domestica? E come mai un sito di gossip come TMZ sembra avere al suo interno investigatori migliori di quelli di ciascuna franchigia? Evidentemente, il messaggio non è arrivato a nessuna delle parti interessate.

MVProf

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