Generazione di fenomeni

Tutti i motivi per cui la classe di rookie del 2017 è una delle migliori di sempre

Mancano ormai poche ore al Draft 2018 e i 30 team NBA sono in grande fermento. Prima di scoprire dove troveranno casa le giovani promesse dell’NCAA Deandre Ayton, Marvin Bagley III e Michael Porter Jr, oltre che lo sloveno Luka Doncic, facciamo un passo indietro di un anno per rivivere le gesta dei migliori rookie della passata stagione. All’interno di una classe di rookie unica nel suo genere, Ben Simmons e Donovan Mitchell hanno dominato le scene, dentro e fuori dal campo. Il primo ha dimostrato ampiamente di essere il giocatore speciale che si era intravisto al college e di aver smaltito problemi fisici che lo avevano bloccato nel 2016. Il suo ruolo di point guard di 6’10” con eccellente visione di gioco e grande agilità nel pitturato ha reso inevitabili i paragoni con leggende come Magic Johnson ed Oscar Robertson. Era proprio dai tempi di Big O che non si vedeva un rookie in grado di tenere una media di almeno 15 punti, 8 assist e 8 rimbalzi a partita. Anche grazie a lui, i Philadelphia 76ers hanno chiuso la stagione col 3° record ad est, un enorme passo in avanti dopo le deludenti annate precedenti. Non da meno è stato Donovan Mitchell. Devono essersi mangiati i gomiti i Denver Nuggets che, scelto il giocatore (solo) alla #13, lo hanno immediatamente inviato agli Utah Jazz in cambio di Lyles e la scelta #24. Arrivato in una Utah che aveva appena perso il proprio leader Gordon Hayward, “Spida” Mitchell ha trascinato i Jazz con le sue speciali doti di realizzatore ad una stagione sorprendente, chiusa al 5° posto nel combattivo ovest.

Non solo con i suoi 20.5 punti di media a partita ha guidato tutti i rookie della sua classe, ma è anche diventato il primo rookie di sempre con 187 triple a bersaglio. I paragoni più encomianti lo vedono come l’erede di Dwyane Wade e Baron Davis. La competizione fra di loro è stata davvero serrata, tanto da esondare al di fuori dei palazzetti NBA. Mitchell, testa a testa con Simmons per il premio di Rookie of the Year, contestava al primo di non essere un rookie vero e proprio, e di aver usufruito dei vantaggi di essere diventato un pro già da un anno intero. La situazione ricorda da vicino quella di Blake Griffin, che rookieranking-dec-8-cover.jpgsaltò tutto il 2009 e fu comunque vincitore del premio di ROY nella stagione seguente. La faida fra i due si è svolta a colpi di tweet, felpe e interviste, senza però mai cadere nel cattivo gusto.

Terzo incomodo in questa diatriba è stato Jayson Tatum, il cui arrivo ai Boston Celtics è stato frutto di una delle numerose intuizioni di Danny Ainge. Convinto di ritrovare il prodotto di Duke alla #3, Ainge ha offerto la #1 a Philly in cambio della prima scelta di Sacramento per il 2019. Di fatto, ha raddoppiato le prime scelte e comunque selezionato il giocatore desiderato. L’ottima stagione di Tatum è stata facilitata dall’infortunio di Hayward, che finendo KO a inizio stagione ha lasciato al rookie il posto di ala titolare e la possibilità di mettersi in mostra. Dotato di straordinario atletismo e una mano fatata (43% dalla lunga distanza, 1° fra i rookie e 8° fra tutti i giocatori NBA), è diventato il secondo rookie all-time per punti segnati in una stagione. Grazie alla profonda run dei suoi C’s in postseason, l’ex Blue Devil ha superato in questa graduatoria mostri sacri come Elgin Baylor, Wilt Chamberlain e George Mikan. Concludono il primo quintetto All-Rookie Kyle Kuzma e Lauri Markkanen.

Il primo ha raggiunto Kobe Bryant come l’unico altro giocatore nella storia dei Los Angeles Lakers in grado di mettere a referto almeno 1200 punti, 450 rimbalzi e 150 triple in una stagione. Non volendo essere da meno rispetto ai suoi pari, anche il lungo finlandese ha registrato un record. Il sette piedi dei Chicago Bulls è diventato il più veloce di sempre a realizzare 100 triple in una stagione – 41 partite. Nel secondo quintetto All-Rookie troviamo il controverso Lonzo Ball, Bogdan Bogdanovic, John Collins, Josh Jackson e Dennis Smith Jr. Fra tanto talento, fanno rumore tre esclusi eccellenti. Trattasi di Frank Ntilikina, scelto alla #8 in una delle ultime mosse di Phil Jackson per i Knicks, De’Aaron Fox, la scelta #5 dei Kings, e soprattutto Markelle Fultz. La prima scelta assoluta del draft ha saltato 68 partite in stagione regolare a causa di un misterioso infortunio alla spalla su cui i Sixers hanno mantenuto il massimo riserbo. Il suo anno da sophomore si preannuncia fondamentale per il suo rilancio. Tanta abbondanza di talento porta a chiedersi se la classe del 2017 non sia solo eccellente, ma addirittura la migliore di ogni epoca. La concorrenza è di certo di altissimo livello. Per citarne alcune, vanno ricordate le classi del 1984 (Jordan, Olajuwon, Stockton e Barkley), del 1996 (Kobe, Allen, Nash e Iverson) e del 2003 (LeBron, Bosh, ‘Melo e Wade). È certo troppo presto per trarre conclusioni del genere e solo il tempo dirà se questi giovani talenti saranno degni di entrare in una conversazione che li eleverebbe non solo fra noti Hall of Famer, ma fra i più grandi giocatori della storia.

MVProf

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