È finita l’era del tanking?
Le nuove regole potrebbero segnare la fine di una pessima abitudine
Non appena il vice commissioner Mark Tatum ha finito di estrarre le buste per la Lottery NBA 2019, è stato possibile trarre tre conclusioni. Primo, che David Griffin è un uomo schifosamente fortunato. Nei suoi anni ai Cleveland Cavaliers, era stato baciato dalla buona sorte con ben tre prime scelte assolute nel giro di quattro stagioni. La sua stella fortunata lo ha seguito anche nel Bayou State e alla sua prima lottery come membro dei New Orleans Pelicans ha di nuovo ottenuto la preda più ambita. Con appena il 6% di probabilità, i Pels si sono aggiudicati a sorpresa il diritto di scegliere Zion Williamson nel draft del prossimo 20 giugno. Di ben altro tenore è invece l’umore nella Grande Mela, coi fan dei New York Knicks che fino all’ultimo avevano sperato che Zion li avrebbe salvati dalle loro miserie. Ironicamente, poco prima del draft si era sparsa la voce che, se i Knickerbockers avessero vinto la lottery, avrebbero tentato di scambiare la prima scelta proprio con i Pelicans per arrivare ad Anthony Davis. E invece, mentre i loro sogni si sono infranti, Griffin ha ora una chance di mettere sia AD che Zion insieme sul parquet. Fortunello davvero.
Se sui primi due punti non c’è molto da dibattere, sul terzo è doveroso riflettere con maggiore attenzione. Le reazioni a caldo hanno visto molti, fra cui Rudy Gobert, fare un immediato elogio funebre al tanking, dichiarandolo ormai storia vecchia. Il motivo è presto detto: solo una delle cinque squadre col record peggiore è stata in grado di accedere alla Top 3, ovvero i Knicks. Suns e Cavs (14%), più Bulls (12.5%) e Hawks (10.5%) si sono dovute accontentare di selezioni fra la #5 e la #8. La conclusione? Tankare non ha più senso se la ricompensa sono scelte tutto sommato mediocri. Ciò è vero solo in parte. Innanzitutto, è obbligatorio ricordare che, a differenza dell’NFL, in NBA non vi è alcuna certezza che il record peggiore porti alla prima scelta assoluta.
Basti pensare che nei draft degli ultimi 10 anni, solo quattro volte la prima scelta è andata alla favorita della vigilia e, se si risale fino alle origini della lottery nel 1985, ciò è accaduto appena otto volte su 34 estrazioni. Per tale ragione, la matematica dietro alla lottery implica anzi che ai Knicks è andata meglio del previsto. Se è vero che il loro 14% li vedeva in testa al gruppo, al tempo stesso ciò significava che nell’86% dei casi loro non sarebbero usciti vincitori. Come per ogni lotteria, esiste un fattore di incertezza a prescindere dal numero di biglietti a propria disposizione. L’unica sicurezza era che la loro scelta non sarebbe potuta scendere sotto la #5, per la quale avevano il 47.9% di probabilità. In questo senso, l’essere passati dalla quinta alla terza scelta non dovrebbe essere interpretato come cattiva sorte. Ma provate a raccontarlo ai newyorkesi…
Al di là del campanilismo, un comprensibile motivo che ha portato a seppellire (prematuramente) il concetto di tanking è dovuto al fatto che questa lottery fosse la prima nel suo genere. Da quest’anno, infatti, entravano in vigore le nuove regole atte appunto a disincentivare le franchigie a perdere di proposito. Se in precedenza le tre squadre peggiori ottenevano d’ufficio rispettivamente il 25%, il 19.9% e il 15.6% alla lottery, da ora le percentuali si sono abbassate e livellate al 14% a testa, col disavanzo ridistribuito alle altre squadre. La nona posizione in graduatoria dei Pelicans, ad esempio, lo scorso anno avrebbe dato loro il 1.7% di chance rispetto all’odierno 6%. Insomma, se da un lato le nuove regole scoraggiano un tanking selvaggio e spudorato, dall’altro incoraggiano un numero maggiore di squadre a operare una sorta di soft tanking.
Il grafico a lato (fonte: Mitch Goldich) mostra infatti come le squadre dalla 5 alla 15 abbiano visto un rialzo delle proprie chance di accaparrarsi una scelta migliore rispetto al passato. Questo potrebbe quindi incoraggiare alcune squadre tirare i remi in barca negli ultimi mesi e settimane della stagione. Da ora diventa infatti assai più proficuo smettere di inseguire un chimerico ottavo posto e invece perdere per aumentare il bottino di palline da ping pong. Certo, il rischio è che di quando in quando tale sistema faccia cadere ottimi giocatori in mano a team discreti, ma questo è un danno collaterale. Ciò che però contava era la missione di non creare più cortocircuiti del basket come il Process di Hinkie, ovvero squadre che fin dall’estate decidono di votare l’intera stagione a perdere il più possibile.
MVProf