Eli Manning è fuori da New York
Dopo 14 anni Eli Manning non sarà più il quarterback titolare dei Giants
Con una mossa per certi versi sorprendente, ma non del tutto inaspettata, da questa domenica Eli Manning non è più il quarterback titolare dei New York Giants. In settimana la franchigia ha annunciato la propria eclatante decisione, presa di comune accordo fra coaching staff e dirigenza. La scelta arriva appena una decina di giorni dalla seconda vittoria stagionale dei Giants, la quale è coincisa con la partenza da titolare di Eli numero 209, una in più del fratello Peyton Manning. La striscia si è interrotta così una domenica dopo a 210, con Brett Favre primo e inarrivabile ironman a 297. L’allenatore dei Giants Ben McAdoo ha motivato la scelta affermando di voler valutare gli altri giocatori nel roster prima di fine stagione, fra cui appunto i due back-up quarterback Geno Smith e Davis Webb. Sebbene non sia inconsueto fare questo tipo di scelte per una franchigia col terzo peggior record della NFL, secondo molti la mossa sfiora il delitto di lesa maestà. Nei 14 anni in città, Eli è diventato un vero e proprio idolo newyorkese, soprattutto per aver condotto i Giants a due storiche cavalcate verso l’anello, prima nel Super Bowl XLII del 2008 e poi di nuovo nel Super Bowl XLVI del 2012. In entrambi i casi, Manning fu incoronato MVP della partita, anche in virtù delle sue giocate decisive nei finali di gara. Impossibile dimenticare l’helmet catch di David Tyree nel primo caso e il suo incredibile passaggio sulla sideline per Mario Manningham nel secondo. Ad oggi, Eli resta l’unico QB ad aver assestato non una, ma addirittura due L a Tom Brady in un Super Bowl.
Nonostante questi ricordi gloriosi, la NFL è una lega da what have you done for me lately? e ormai i due Super Bowl sono troppo lontani per vivere di rendita in eterno. Per di più, il curriculum di Eli è contraddistinto da una evidente inconsistenza nelle sue prestazioni. Se della sua durabilità nessuno può dubitare, ai picchi altissimi raggiunti in postseason non hanno quasi mai corrisposto stagioni ad alto livello in maniera costante. Nella sua carriera a New York, presumibilmente ormai finita, Eli chiude i conti con un modesto record totale di 110 vittorie e 100 sconfitte (.523) e con un record stagionale perdente in quattro degli ultimi cinque anni (21-38, ovvero .356). La sua avventura coi G-Men è stata parzialmente risollevata dall’arrivo di Odell Beckham jr nel 2014, senza il quale i limiti di Manning sono di nuovo riemersi tutti quest’anno. Basti pensare che senza OBJ in Week 1 contro i Dallas Cowboys Eli ha lanciato per un totale infimo di 33 yard in tutto il primo tempo. Più in generale, le statistiche raccontano che quando Eli lancia verso Odell, il QB newyorkese è statisticamente di gran lunga più efficace che con qualunque altro ricevitore, passato o presente. Proprio grazie a questa sinergia e dopo un 2016 chiuso con un record di squadra di 11-5, sembrava che la carriera di Manning fosse destinata a tornare a brillare, magari con un altro giro di valzer al Super Bowl. Tuttavia, la partenza shock per 0-5 e un nuovo infortunio a Beckham, stavolta terminale, hanno notevolmente accelerato il processo che ha portato alla sua esclusione dall’undici titolare.
A sua parziale discolpa, la stagione dei Giants è stata funestata da sfortuna e avversità che vanno anche oltre alla perdita di OBJ. Insieme all’ex LSU, uno dopo l’altro sono poi caduti anche il RB Paul Perkins (problemi alle costole, out 4 partite) e i WR Sterling Shepard (forti emicranie, out 4 gare), Brandon Marshall (frattura alla caviglia, solo 5 partite giocate) e Dwayne Harris (frattura al piede, anche lui appena 5 presenze quest’anno). In buona sostanza, tutte le armi offensive a disposizione hanno perso almeno un mese di stagione o più. Dando più in generale un’occhiata ai compagni di Eli sul lato offensivo del campo dal 2004 a oggi, non salta all’occhio nessun nome “pesante,” con Plaxico Burress e Victor Cruz unici nomi noti fra tanti signor nessuno senza l’ombra di un pedigree da Hall of Fame. Sul lato difensivo, da un punto di vista storico le cose cambiano, con rappresentanti di prim’ordine come Michael Strahan, Justin Tuck, Osi Umenyiora e Jason Pierre-Paul. Tuttavia, quest’anno anche quell’area ha subito una profonda regressione. Non è passata inosservata l’involuzione di Eli Apple, la polemica di Dominique Rodgers-Cromartie e lo scarso impegno di Janoris Jenkins, peraltro ora pure lui infortunato. In un tale caos, coach McAdoo sarebbe dovuto essere il parafulmine di questo grattacielo newyorkese scalcagnato. E invece nemmeno lui si è dimostrato all’altezza.
McAdoo ha fallito sia come leader nel motivare i giocatori sia come tattico nel metterli in campo in maniera vincente. La sensazione è che anche la sua tenuta sulla panchina dei Big Blue sia pressoché terminata e che a fine anno verrà giudicato parte della cancrena da tagliare per salvare il resto del corpo del gigante. E la perdita sarà relativa. Tuttavia, per chi come Eli ha rappresentato – dentro e fuori dal campo e al di là delle vittorie – valori integerrimi e impeccabile professionismo, sarebbe stato auspicabile finire la sua carriera newyorkese sullo scudo, come i guerrieri dell’antichità. Morte per intercetto, se preferite. Invece, posto di fronte al contentino di iniziare le ultime cinque partite per poi comunque venire panchinato d’ufficio, come un signore Manning ha scelto di farsi da parte, assicurando fra le lacrime trattenute a stento che il suo appoggio a Smith e Webb non sarebbe comunque venuto meno. E il fatto che il 36enne QB abbia dovuto cedere i gradi a questi ultimi ha destato ulteriori polemiche. A che pro valutare Geno Smith? L’ex QB dei New York Jets ha già 34 presenze in NFL e i numeri accumulati fin qui non lasciano intravedere come possa improvvisamente essere diventato l’uomo del futuro dopo tre anni in naftalina. Valutare Webb ha già più senso, visto che il rookie aveva fatto intravedere un buon potenziale in quattro anni al college fra Texas Tech e Cal. D’altro canto, con zero snap fra i pro può essere addirittura controproducente buttarlo ora nella mischia in una squadra a corto di personale e di idee.
Insomma, il tempo nella Grande Mela di Eli è ormai agli sgoccioli, finito in maniera poco cerimoniosa e col didietro mestamente posizionato su una panchina. Eppure, la sua carriera al di fuori dei five boroughs non è da considerarsi necessariamente finita. Non a caso, uno dei primi ad esprimere il suo parere sulla questione Manning è stato Tom Coughlin, ex allenatore dei Giants e vincitore dei due Super Bowl con Eli. “I miei sentimenti sono completamente con Eli Manning,” ha dichiarato. “Non ho seguito i Giants. So che si tratta di un anno deludente, ma i miei pensieri sono unicamente per Eli. Mi sono molto arrabbiato quando lo sono venuto a sapere.” E Coughlin, ora Executive VP of football operations ai Jacksonville Jaguars potrebbe riabbracciare il figliol prodigo Eli già dall’anno prossimo. I Jags infatti stanno passando un 2017 più che positivo, ma le prestazioni di Blake Bortles non convincono e l’inserimento di Eli potrebbe far fare un deciso passo in avanti alla franchigia della Florida. Un’altra opzione valida potrebbero essere i Denver Broncos. Sarebbe quasi poetico che Eli andasse ad occupare quel posto lasciato senza eredi degni da quando il fratello Peyton si è ritirato nel 2015. Dopo tanto tempo nella stessa franchigia, è difficile prevedere come un matrimonio fra Eli e una nuova squadra possa impattare il resto della carriera del quarterback, specie per quanto riguarda la sua legacy. I suoi due anelli pareggiano quelli di Peyton e sono stati la kryptonite di Brady, ma questi ultimi possono contare su tutta una serie di record all-time che Eli non ha mai nemmeno potuto sfiorare. Quanto accumulato basterà per l’ingresso nella Hall of Fame? Questo solo il tempo lo dirà. Per ora l’unica cosa certa è che la lunga storia d’amore tra Eli e i Giants è giunta al termine e in una maniera fin troppo disfunzionale pure per un giocatore dalla carriera dalle molte facce.
MVProf