Decisions, decisions…
All’indomani del passaggio di Kevin Durant ai Golden State Warriors proviamo ad analizzare le dinamiche dietro questa clamorosa svolta che altera gli equilibri della NBA
Il 4 luglio è tradizione americana passare una giornata all’aria aperta, organizzare un barbecue con amici e/o famiglia e infine godersi i fuochi d’artificio. Quest’anno in particolare, oltre a würstel con dio-solo-sa-con-dentro-cosa e cieli blu, ad andare a fuoco sono state anche diverse maglie numero 35. Le colorazioni variano dall’azzurro, al blu e al bianco. Ovviamente sto parlando delle maglie di Kevin Durant bruciate da diversi tifosi di OKC apparse sui social media. Tifosi che con spirito olimpico hanno reagito con pieno animo a stelle e strisce: quando non ti piace più, uccidilo col fuoco. Ovviamente, solo perché alcuni loschi figuri hanno seguito la moda dei “tifosi” Cavs (difficile poi rimettere insieme i pezzi dalle ceneri, eh?) questo non dovrebbe essere il sentimento comune a tutti. Tuttavia, il web è caldo e il termometro dice che i fan sono in ebollizione. Ladies and gentlemen, it’s time to overreact!
Flashback a sei anni fa. LeBron James in camicia a scacchi appollaiato su una sedia da regista più in difficoltà dell’uomo seduto sopra di essa. Poi quella frase, “I’m taking my talents to South Beach.” Una delle frasi più sentite e risentite del decennio. Presa (quasi) pari pari dal suo idolo Kobe che nel 1996 nella “original” Decision annunciava al mondo che avrebbe saltato il college e portato i suoi talenti nella NBA. Molto è stato detto e scritto di quel giorno di luglio 2010, forse il singolo evento più importante nella storia recente del basket avvenuto di luglio. Ma da ieri questo 4 luglio si candida come un valido concorrente. LeBron in tempi non sospetti si è pentito, non certo della sua decisione – nella sua foto I’m coming home il gioiellone al dito aveva il logo dei Miami Heat bello evidente – quanto della maniera in cui fu gestita dal suo staff e da lui stesso. E a pochi importava che la serata avesse raccolto $6M poi dati in beneficienza. LeBron era un traditore e quella stessa sera era cominciata una lunga e acrimoniosa damnatio memoriae per le strade del nord-est Ohio. “Ha bisogno di andare nella squadra di Wade per vincere,” “La sua legacy è rovinata per sempre,” “È un traditore.” Queste furono le cose più gentili sentite su LeBron. Il resto è storia: la partenza 9-8, gli attriti con coach Spo, il no-show contro i Mavs, la striscia di vittorie consecutive e i due anelli. Fine del king with no ring. Il suo ritorno a Cleveland fu salutato dai più positivamente. Del resto, a chi non piace la storia del figliol prodigo che torna a casa?
Ma perché tutta questa digressione lunga più di un lustro? Perché The Decision è la cosa più simile a quanto assistito ieri con Durant. Nel mentre, la chiameremo KDecision, in attesa che qualcuno escogiti qualcosa di meglio. Ed è anche il paragone sulla bocca di tutti, divisi fra il partito di chi pensa che Durant abbia fatto una mossa tale e quale a quella di LeBron e il partito di chi pensa che sia mille volte peggio. Analizziamo la cosa con calma. Per prima cosa, qual è stata l’ultima partita di entrambi? Per KD, una sanguinosa sconfitta dopo essere stato per tre volte a 48 minuti da una finale NBA. Per LBJ, un’inutile tripla doppia contro i Celtics e quell’immagine di lui che va verso gli spogliatoi, levandosi non si sa quanto simbolicamente la maglia col 23. Seconda domanda: chi erano i compagni di merende? In ordine decrescente di rilevanza, Russell Westbrook, Adams, Kanter, Ibaka e il resto della truppa.
Sei anni prima, il re abdicava dopo la disfatta dei vari pretoriani Mo Williams, Boobie Gibson e Big Z, oltre che di uno Shaquille O’Neal ad un passo dal ritiro. Nessuno sano di mente metterebbe i due roster a confronto. Rispetto al rispettabile roster di OKC, Cleveland aveva onesti mestieranti e nulla più come Delonte West (quantomai puntuale il correttore che me lo tramuta in “Dolente” West), Jamison, Varejao, Moon e Parker. Benché nessuno sia così scellerato da affermare che quel roster avesse il potenziale dei Thunder 2016, proviamo a rovesciare l’assunto. In un Ovest così ricco di talento, siamo sicuri che OKC stesse formando una dinastia schiacciante? In altre parole, è irrealistico pensare che a forza di provare e riprovareLeBron avrebbe sfatato il tabù Celtics con quei giocatori e quella dirigenza. Ed è per questo che oggi la gente giustifica la sua scelta, a posteriori. Ma dite che Durant ha mollato una squadra da titolo perenne?
Se non altro, la mossa di James creò un precedente. Non si vince da soli. Certo, Dwyane Wade nel 2006 ha fatto qualcosa di molto simile, ma pur sempre con Hall of Famer come Shaq, Zo e Payton. D’altronde, gli stessi Boston Celtics avevano formato i Big Three per vincere tanto e subito. Vi suona familiare? Non si tratta di screditare Russell Westbrook dal titolo di giocatore da Top 5, ma è difficile affermare che quella squadra potesse fare meglio dei Warriors contro i Cavs. No, non si vince da soli. E apparentemente nemmeno con Westbrook, cosa che KD ormai aveva accettato. Una serie finale Cavs-Thunder, considerato inoltre il vantaggio campo che avrebbe avuto Cleveland, avrebbe avuto un epilogo ben meno esaltante per il pubblico. LeBron ha già battuto KD e lo avrebbe rifatto. Ebbene sì, ci sono similarità fra le storie dei due giocatori di basket più forti del pianeta. Come oggi la maggioranza non giudica tanto aspramente il volo verso il sud della Florida di LBJ, così non dovremmo tutti saltare al collo di KD.
Quando LeBron si unì a Miami nel 2010 è vero che gli Heat non erano una supercorazzata. Tuttavia, con Chis Bosh e Wade già firmati, sulla carta erano già un team ipercompetitivo. E quando lo stesso prescelto si riunì ai Cavs, il suddetto uomo si ritrovò magicamente in casa Kyrie Irving e Andrew Wiggins, due prime scelte assolute. Tutta la dialettica letta e riletta durante le WCF francamente lascia indifferenti. KD batte i Warriors? Non può unirsi a loro, dopotutto la sua squadra li ha battuti! KD perde coi Warriors? Non può unirsi a loro, hanno dimostrato che a loro non serve! Perché LeBron lasciò Cleveland? Per vincere anelli con la squadra col potenziale maggiore. Perché Durant ha lasciato OKC? Fate copia e incolla. E tanto peso deve aver avuto il messaggio recapitato da Jerry West. Secondo le fonti, Mr. Logo in persona avrebbe confessato a cuore aperto a Durant che quel record di 1-7 ancora lo tormenta, esortandolo a non diventare come lui, ma pensare a vincere tanto e subito.
Ci sono diversi aspetti che compongono la vita di un giocatore professionista. In ordine sparso, soldi, anelli, rispetto dei propri pari, amore dei fan e record vari. Parliamoci chiaro. Lo sport professionistico americano è prima di tutto un business, tanto per le leghe quanto per i singoli giocatori. Per quanto sia bello avere tutte le fette di questa gustosa torta, al mondo ci sono due tipi di giocatori: quelli che giocano per i titoli e quelli che giocano per i soldi. Tutti amano i primi, ma guadagnare palate di soldi in contesti perdenti è una scelta assolutamente rispettabile. Noi non ti giudichiamo, ‘Melo! Dai, se vi offrissero il triplo del vostro attuale stipendio per fare lo stesso identico lavoro, solo in un altra città accettereste tutti. I colleghi? Gli amici? I fan (buon per voi se ne avete)? Ma si fottano, voi portate i vostri talenti a Grosseto! In definitiva, il signor Kevin Durant sta andando in un posto con panorami migliori di Grosseto (e sicuramente di Oklahoma City), a prendere le già menzionate vagonate di contanti e in più in un contesto che permette sulla carta di formare il quintetto titolare più forte di sempre. Le parole di Draymond Green dicono tutto: “We asked him how many championships do you think we can win with the way the team is now? How many championships can you win without us? How many do you think we can win together?”
D’altronde, essere un fan NBA è la cosa più difficile fra le cose facili. Mettete quei marcantoni di due metri e passa su un piedistallo altissimo, come i nuovi supereroi che rimpiazzano quelli della vostra infanzia. Batman e Superman che combattono Lex Luthor sostituiti da Curry e Durant che sfidano LeBron per l’anello. Certo, se non siete fan dei Warriors vi riuscirà difficile vedere quei due come i buoni. Perché i buoni sono perfetti, trovano il tempo di salvare i gatti sugli alberi e proteggere il mondo dall’apocalisse, così come i giocatori NBA vanno a trovare i bambini in ospedale e organizzano raccolte fondo per i bisognosi fra una schiacciata e l’altra. Occhio a quel piedistallo, però. Loro non sono action figure Made in China, ma sono umani con sogni e aspirazioni. Alle volte vanno a braccetto con le vostre, altre volte no e dovete farvene una ragione. Perciò bruciate le loro maglie, vendetele su Ebay o datele in pasto ai cani, ma non condannate un uomo per aver scelto ciò che era meglio per lui. Siamo d’accordo, storicamente non si è mai visto un giocatore così forte unirsi ad una squadra così forte.
Eccome se avrebbe avuto più fascino un Durant a Boston o Miami, prendendo due franchigie buone e portandole al salto di qualità! Ma perché ritrovarsi in una situazione di semi-rebuilding, quando è palese che Durant sia stanco di arrivare sempre secondo (o peggio)? A quel punto, meglio restare a OCK. Ma KD vuole vincere e vuole farlo ora. È umano avere eroi nella vita, ma non pretendete standard inarrivabili. Al suo posto, avreste fatto lo stesso. In più, Durant non è un supereroe. Durant è un uomo stanco di guardare gli altri stappare champagne. Aveva soldi, rispetto, amore e record su record. Coscientemente, ha deciso che valeva la pena mettere tutto in discussione per quella fetta mancante, gli anelli. Ed è in palese posizione per fare incetta. Se questo avrà un effetto negativo su come sarà ricordata la sua carriera fra decenni, questo sarà materia di dibattiti futuri. Per ora, lecchiamoci i gomiti per una stagione che si prospetta ad altissimo numero di ottani.
MVProf