Cover Four – Week 17
Ogni settimana tratteremo quattro spunti di riflessione più o meno seri donatici dalla National Football League
BUFFALO BUFFALO BUFFALO BUFFALO BUFFALO BUFFALO BUFFALO BUFFALO
Questa è nota frase che i linguisti amano usare come esempio di una frase di senso compiuto che sfrutta l’omonimia e l’omofonia della la parola Buffalo, ripetuta otto volte. Dove “Buffalo” appare addirittura per 17 volte è invece la colonna delle stagioni lontane dai playoff dei Buffalo Bills. Almeno fino a quest’anno. In maniera del tutto inaspettata e potendo contare su allineamenti astrali improbabili, la più lunga siccità di postseason in NFL che affliggeva la franchigia è finalmente spezzata. E, intendiamoci, non è stato affatto semplice. La stagione dei Bills è stata un mix di grandi momenti e profondi crepacuori. Fra questi ultimi ultimi, non possono essere dimenticati i 5 intercetti di Nathan Peterman contro i Chargers che sono quasi costati alla squadra l’intera stagione, prima del ritorno di Tyrod Taylor nel ruolo di QB titolare. E proprio lui, l’eroe che ha riportato i Bills ai playoff per la prima volta dal 1999, verrà probabilmente tagliato a fine anno, anche in virtù del fatto che il suo contratto peserà sul cap di Buffalo per $18M nel 2018. Il giocatore, già sull’uscio di casa dalla scorsa stagione, non sarà mai scambiato per il quarterback più preciso (62.6% di completi) o per quello più prolifico (186.6 yard a partita), ma è uno che limita gli errori, si sa adattare al concetto moderno del suo ruolo e per molti versi è il miglior QB della franchigia dai tempi di Jim Kelly (fine anni ’80). Anche grazie a lui, le speranze dei Bills sono restate vive fino alla Week 17. A Buffalo serviva battere i Miami Dolphins e al contempo sperare nella vittoria dei Bengals contro i Baltimore Ravens. L’impresa non stava tanto nel vincere contro i Dolphins, già eliminati da ogni scenario di playoff e con seconde linee in campo, ma contare sull’appoggio di una banda di tigri del Bengala che nell’ultimo mese era sembrata più un manipolo di mici rossi. Quando ormai la loro partita era finita (22-16), Baltimore era in comando della partita con meno di 3′ da giocare. Dallo spogliatoio i giocatori hanno così potuto assistere in diretta alla clamorosa rimonta dei Bengals, ora a pieno diritto la seconda squadra più tifata a Buffalo dopo i Bills.
L’INIZIO DELLA FINE
Ormai è tutto deciso. La Week 17 ha determinato che Tennessee Titans, Atlanta Falcons e i già citati Bills andranno a completare il gruppo di 12 squadre che da sabato 6 dicembre daranno il via ai playoff della NFL. La stagione che si appresta a entrare nella sua fase finale ha visto molte squadre performare ben al di sotto dei propri standard abituali. Per tale motivo, questo gennaio non vedrà in campo fra i protagonisti giocatori di grande qualità come Ezekiel Elliott e Von Miller, insieme ad altri fuoriclasse che non saranno presenti per via di infortunio. Ad esempio, Odell Beckham jr e JJ Watt, solo per citare i casi più eclatanti. Per dare un’idea del drastico cambio di scenario, ben cinque delle otto vincitrici di division non erano nemmeno qualificate ai playoff appena un anno fa. Delle quattro wild card poi, solo Atlanta era presente lo scorso anno. Benché tale cambiamento abbia fatto la felicità dei fan delle nuove squadre, questo potrebbe indicare allo stesso tempo un quadro generale preoccupante per la lega nel suo insieme. I tanti nomi noti fermi sul divano di casa a gennaio raccontano, a posteriori, di una stagione regolare deludente. E dal generale (ovvero i team) bisogna poi passare a considerale il particolare, ovvero i giocatori. Basta considerare la lista di coloro i quali lo scorso anno si sono combattuti il premio di MVP. Il vincitore, Matt Ryan, ha agguantato i playoff per la coda solo all’ultima giornata, Rodgers e Derek Carr non si sono nemmeno qualificati e stesso dicasi dei Dallas Cowboys di Dak&Zeke. Unica presenza fissa rimane Tom Brady, che pure, fuori dal New England, incontra più odio che amore. Insomma, Foles e non Rodgers, Bortles e non Wilson, Taylor e non Luck. Pur con nuovi protagonisti saliti alla ribalta e che certo non hanno rubato nulla a nessuno, questi grandi nomi restano vitali per i rating televisivi. Che tipo playoff è lecito aspettarsi dunque? Molti dei team qualificati appaiono dei one-and-done e regna l’impressione che i giochi si decideranno fra i soliti sospetti. La speranza è che, se le sorprese saranno ridotte al minimo, almeno lo spettacolo sia gradevole.
PANCHINE BOLLENTI
Nemmeno il tempo di archiviare la Week 17, che la giostra degli allenatori era già entrata in funzione. Primo a cadere è stato Ben McAdoo dei New York Giants, tecnicamente l’unico esonerato nel mezzo della stagione regolare. Nei due anni alla guida dei Big Blue McAdoo ha prima riportato la squadra ai playoff dopo quattro stagioni di assenza, salvo poi portarla ad un collasso totale quest’anno, dove perdere di mano spogliatoio è stato forse ancora più grave che perdere 13 partite. Il primo esonero nell’immediato post-Week 17 è stato, per questioni di fuso orario, Chuck Pagano degli Indianapolis Colts. Dopo sei anni a Indy pieni di eventi, dalla diagnosi di leucemia allo scoppio del Deflategate, quest’anno Pagano ha pagato col suo lavoro la totale assenza del suo QB titolare Luck. A seguirlo è stato Jack Del Rio degli Oakland Raiders. La colpa maggiore di Del Rio è stato aver fatto fare più di un passo indietro ad un collettivo che lo scorso anno sembrava quello di una degna contender per il Super Bowl. Per il suo posto è in rampa di lancio Jon Gruden, già ex coach dei Raiders ai tempi del Tuck Rule Game. Se questo licenziamento è stato per certi versi inaspettato, era nell’aria già da tempo l’addio di John Fox dai Chicago Bears. Fox non è mai sembrato essere in linea con la direzione della società (Mitch Trubisky pare sia stato draftato contro i voleri del coach) e un ruolino di marcia di 14-34 in tre anni non era più sostenibile. Chi invece nei suoi quattro anni coi Detroit Lions aveva un rispettabilissimo record di 36-28 ed è comunque stato cacciato è Jim Caldwell. Per finire, due dimissione di tenore diverso. Bruce Arians ha lasciato gli Arizona Cardinals dopo cinque anni di permanenza, ufficializzando nel mentre il suo pensionamento. A essersi dimesso sembrava essere stato anche Marvin Lewis dei Cincinnati Bengals: la notizia era circolata già in Week 15, salvo poi essere smentita anche in virtù di un sorprendente rinnovo contrattuale fino al 2019. La lista potrebbe presto allungarsi. Sulla graticola sono finiti anche Jason Garrett (Cowboys), Bill O’Brien (Texans), mentre a parole sono stati (per ora) confermate le panchine vacillanti di Vance Joseph (Broncos) e Hue Jackson (Browns).
LA SPIA CHE MI AMAVA
Questa settimana, la storia che forse più di ogni altra ha dominato i corridoi e le sale di aspetto d’America è stata quella di James Harrison. Il linebacker è stato per anni ormai una delle colonne portanti dei Pittsburgh Steelers, con i quali ha vissuto un’avventura di 14 anni interrotta solo per un anno e condita da due Super Bowl. Con la carta d’identità che quest’anno dice 39, le sue presenze in campo si sono ridotte quasi a zero, ma la sua voglia di fare era rimasta inalterata. Per tale inconciliabile dicotomia, Harrison è stato tagliato il 23 dicembre. Nella sorpresa generale, appena tre giorni dopo era diventato ufficiale il suo arrivo ai New England Patriots. Con l’esclusione forse dei Ravens, la più grande rivale degli Steelers in tutta la carriera di Harrison. Come spiegare tale scelta? Secondo il giocatore, il contributo che è ancora in grado di dare giustifica il mettersi sul mercato al migliore offerente e la stima verso Bill Belichick lo ha convinto delle sue stesse iniziali resistenze. Belichick, a sua volta, non è nuovo a mosse simili, specie verso fine stagione e ancor di più in un reparto, quello dei LB, quest’anno estremamente deficitario. Per alcuni, Belichick avrebbe preso Harrison per sfruttarne le conoscenze dei playbook di Pittsburgh, mentre per gli amanti delle teorie del complotto questi starebbe invece facendo il doppio gioco, agendo da talpa per sabotare i Pats dall’interno per conto degli Steelers. Se questo è il caso ed è tutta una finta, gli ex compagni di squadra stanno recitando la parte incredibilmente bene. Molti di loro hanno preso a dir poco male la mossa di Harrison, accusando a più voci di essere stato un pessimo compagno di squadra. Per i tifosi, la macchia è ancora più grave e cancella in un solo istante tutta la sua legacy ultradecennale, rendendolo persona non grata in città. E se tutto andrà come da copione, Harrison si troverà di fronte proprio la sua ex squadra alle finale di AFC. Chi ha già letto la sceneggiatura, ci ha già intravisto un suo sack a Ben Roethlisberger nei decisivi minuti finali del match…
MVProf