C’era una volta il Milan…
Una volta era una favola, ora è un brutto incubo: il racconto del tracollo del Milan, ora al bivio fra la risalita in salsa di soia e l’oblio nel nebbione meneghino.
Spiegare ad un bambino che si fosse approcciato al calcio negli ultimi tre-quattro anni quanto un tempo il Milan fosse dominante in Italia e in Europa sarebbe come spiegare ad un bifolco del Kentucky l’uso del bidet: entrambi ti guarderebbero con diffidenza e ti prenderebbero per un ciarlatano. Questo articolo era da un po’ in cantiere, ma aspettavo il momento in cui la cessione del Milan ai cinesi fosse confermata. Stando alle ultime notizie lette sulla Gazzetta dello Sport del 5 agosto, potrebbe essere la volta buona e allora colgo la palla al balzo. Se poi si rivelasse una mezza bufala come Mr. Bee, i fatti di seguito esaminati restano veri, essendo questo blog più un contenitore eterogeneo di approfondimenti che un sito di notizie in tempo reale.
DALLA SERIE B AL SIG. B Nel 1986 Silvio Berlusconi rileva un A.C. Milan in grossi guai finanziari e in una pericolosa mediocrità sul campo. Curiosamente, trent’anni dopo, la situazione sembra quasi ripetersi in modo identico, ma ci arriveremo poi. Il trentennio di regime berlusconiano può essere diviso fra i primi 20 anni e gli ultimi 10. Nei primi, gli almanacchi raccontano le epiche gesta del Milan degli olandesi, del calcio totale di Sacchi, del campionato vinto da imbattuti con Capello, del 4-0 al Barcellona di Johan Cruijff, della cortina di ferro Galli-Tassotti-Baresi-Costacurta-Maldini, del rigore di Sheva all’Old Trafford che spiazza Buffon. Da lì in poi le vittorie calano anno dopo anno, pur con picchi quali la vendetta di Istanbul ai danni del Liverpool – apice del Milan di Ancelotti – e lo scudetto 2011 arrivato con Zlatan Ibrahimovic. Il lento, ma inesorabile declino avviene perché i campioni in rosa (Maldini, Nesta, Cafu, Pirlo, Seedorf, Inzaghi) non vengono sostituiti con degne controparti e di conseguenza essi trainano la carretta solo finché l’età glielo consente. In ordine cronologico, ecco la galleria degli orrori dei disastri milanisti dell’ultimo decennio:
- 2006: la cessione di Andriy Shevchenko al Chelsea e il rivedibile reinvestimento del ricavato su Ricardo Oliveira;
- 2009: la sanguinosa cessione di Kakà al Real;
- 2011: il regalo di Andrea Pirlo ai rivali della Juventus, perché considerato bollito;
- gennaio 2012: la mancata vendita di Pato al PSG a causa del veto dell’innamoratissima Barbara Berlusconi, che costa al club €20M e un effetto domino che conduce a…
- luglio 2012: …lo stucchevole teatrino del giocatore di turno che “resta al 99,9%,” che invece si traduce nella doppia cessione di Ibra e Thiago Silva;
- 2013: l’ipse dixit di Galliani “Tevez è fedele, non mi tradirà;”
- 2015: Kondogbia snobba il Milan per l’Inter;
- 2016: per il terzo anno di fila il Milan non si qualifica per un posto in Europa; Tassotti e Abbiati lasciano la società, ultimi baluardi di un Milan in cui non si riconoscono più.
Alla lista, andrebbe aggiunto il turbinio di allenatori cambiati come il peggior Zamparini: dal 2014 nei tre anni successivi si succedono Allegri, Seedorf, Inzaghi, Mihajlovic, Brocchi e ora Montella, con interpretazione libera dell’antico adagio “il Milan ai milanisti.” La verità è che questo è il periodo in cui Berlusconi è ben più indaffarato nei suoi intrallazzi politici e il Milan finisce col fungere più che altro come strumento elettorale ad intermittenza. L’Amministratore Delegato Adriano Galliani, diventato de facto plenipotenziario di tutte le decisioni del club, ha così carta bianca per formare una becera ragnatela di procuratori e agenti, in primis Raiola, nonché di scambi e scambietti col Genoa di Preziosi, senza contare le valanghe di parametri zero di dubbia qualità. Facile deridere Moratti per gli acquisti dei vari Vampeta, Solari e Gresko, ma il Milan di questi anni fa beneficienza a soggetti inutili come Grimi, Onyewu, Papastathopoulos e Taiwo, e paga una pensione dorata a ex-giocatori, di cui si ricordano Essien, Emerson, Vieri, Ronaldo e Rivaldo.
L’allontanamento di Leonardo prima e Ariedo Braida poi non migliora certo la situazione. Anzi, evidenzia ancora di più la scarsa competenza di calcio del geometra. Chiaramente, anche Braida ha avuto i suoi abbagli in carriera (su tutti l’arcinoto acquisto di Dugarry, preso al posto di Zidane), ma ci sarà un motivo se il buon Ariedo finisce poi al Barcellona e Leonardo, nel ruolo di Direttore Sportivo, al PSG. Evidentemente malaccio non erano. Al contrario, al Milan nasce quel mostro a due teste mitologico che è la figura del doppio AD, con Galliani e Barbara Berlusconi a dividersi i compiti fra interessi dentro e fuori dal campo. Il che non sarebbe un’idea peregrina, non fosse che, mentre Galliani spende più da Giannino in primo, secondo, contorno, dolce, caffè e ammazzacaffè che in giocatori, Barbarella porta avanti il progetto dello stadio di proprietà al Portello, conclusosi non solo con un nulla di fatto, ma addirittura con la minaccia di una causa ai danni del Milan di €40M per inadempienza. Male che vada, in zona Fiera ci si piazza il Bagaglino: insomma, da Pippo Inzaghi a Pippo Franco, da Pierino Prati a Pamela Prati. Forse si staccano pure più biglietti…
DAL SIG. B A MR. BEE Il tifoso capirebbe. Capirebbe una flessione economica da parte della famiglia Berlusconi (divorzi, cene eleganti e lodo Mondadori hanno eroso il fondo cassa che normalmente sarebbe stato indirizzato ai rossoneri). Capirebbe che meno danè significhi condurre un mercato al risparmio. E capirebbe anche che puntare su un Milan giovane e italiano possa portare i suoi frutti, perché nel frattempo in casa Juve il blocco di giocatori italiani sta assicurando un quinquennio d’oro alla società zebrata. E invece i tifosi vengono beffeggiati con uscite del tipo “Siamo a posto così,“ “Siamo ultra, ultra competitivi” e “Se non esce nessuno, non entra nessuno.” A coronamento della vendita di aria fritta il logo – o per meglio dire, la patacca – sulle maglie di Squadra Più Titolata al Mondo, debole palliativo per chi ormai può solo vivere di ricordi. Ma certamente è uno specchio fedele di un paese che da troppo tempo si culla sugli allori senza accorgersi che il futuro non gli appartiene. Fuori dal campo, a livello societario comincia la saga degli investitori asiatici. Prima Bee Taechaubol, pittoresco imprenditore tailandese che appare e scompare come il miglior Houdini, promettendo €480M per il 48% del pacchetto azionario. In pratica, un mare di soldi per non avere voce in capitolo. Logico che comincino presto a girare anche voci insistenti che l’asiatico sarebbe solo un prestanome attraverso cui il Berlusca starebbe cercando di riportare in patria fondi loschi. Lungi da me entrare in pieghe oscure come queste, è un dato di fatto che Mr. Bee si sia presto dato alla macchia. Mese dopo mese arrivano nuove voci, sempre provenienti dall’estremo oriente, di interessamenti di altri imprenditori come Li, Pink, Zong e altri nomi che paiono suoni onomatopeici presi dai fumetti di Batman quando il cavaliere – mascherato, non quello mascarato – sferrava pugni a destra e a manca.
OGGI Nel mezzo di un mercato alla canna del gas, dove perfino Musacchio e il Principito Sosa paiono obiettivi inarrivabili, uno dei pochi salvabili dello scorso anno, Carlos Bacca, viene offerto a mezza Europa in nome di un mercato che per forza di cose si deve autofinanziare. Si arriva persino a tagliarlo dalla lista dei partenti per la tournée americana, modo poco gentile per spingerlo fuori dall’uscio di casa. Ulteriore segno dell’inesistente programmazione delle ultime campagne acquisti, dopo che già in inverno si era tentato di sacrificare Luiz Adriano sull’altare della plusvalenza. E dire che doveva essere la nuova coppia d’attacco titolare… Berlusconi non sgancia, i cinesi paiono defilatisi del tutto e l’impasse del mercato sembra condurre agli inevitabili “giorni del condor” di cravatta gialla, come se imbottire una squadra da settimo posto con scarti di squadre di terza fascia a fine agosto possa fare una qualsivoglia differenza.
Questo l’ultimo capitolo di una spirale sempre più nera, una caduta di stile impensabile e inimmaginabile quando a calcare il prato birichino di San Siro erano Van Basten, Weah e Bierhoff. Colpa di un presidente disinnamorato? Eppure quando l’anno scorso ha staccato assegni sostanziosi si sono sperperati tanti soldi per Bertolacci. Quindi colpa di Galliani che non sa comprare? Eppure per anni ha dovuto fare il mercato coi soldi del monopoli. Stallo alla messicana. Come un fulmine a ciel sereno, il 5 agosto è arrivata la notizia di un accordo preliminare per il 99% del Milan per €740M, debiti inclusi, firmato da Han Li e Yonghong Li, facce del gruppo Sino-Europe Investment Management Changxing. Si parla poi di un investimento triennale di €350M nel mercato, con €15M immediati e il resto a scaglioni negli anni a venire. A dire il vero, il comunicato di Fininvest non mette nero su bianco questa clausola e i più disillusi già suggeriscono che con operazioni sospette le cifre verrano reinderizzate nelle casse private dell’ex cavaliere.
Supponiamo quindi che la cessione sia cosa fatta: che conclusioni trarre da questa operazione? Il trentennio di Berlusconi ha portato in bacheca 5 Champions League, 3 Coppe Intercontinentali, 5 Supercoppe Europee, 8 scudetti, 1 Coppa Italia e 6 Supercoppe Italiane e 7 palloni d’oro. Numeri che neppure la Juve dei record truffaldini e l’Inter post-Calciopoli sono state in grado di mettere a referto, combinate. Vendere e farlo ai cinesi deve essere uno smacco importante per chi vedeva comunisti ovunque e ora ha dovuto vender loro – dietro generoso compenso, sia chiaro – una fra le cose che ha più care. È uno smacco anche al prestigio dell’Italia, un’ennesima presa di consapevolezza che siamo ormai terra di conquista per gli squali stranieri. Questo non è nazionalismo becero, solo un dato di fatto che un paese che fino a ieri faceva outsourcing ricorrendo al made in Cina, ora si veda costretto a chiedere aiuto ai suddetti cinesi per salvare le proprie società. Il calcio romantico è in via di estinzione, ma come ogni cosa al mondo è figlio di un ciclo ineluttabile. Le cifre che girano, fra stipendi e cartellini, rendono sostanzialmente illogico tanto per i singoli giocatori quanto per le società rinunciare ad esse.
Aspettare un ritorno di fiamma e di liquidi da parte di un Berlusconi alla soglia degli 80 anni e con una famiglia non altrettanto appassionata di pallone è un sogno utopistico. La poca lucidità delle manovre recenti, in coabitazione con Galliani, hanno avviato un odioso processo che ha spolpato fino all’osso un patrimonio storico, sportivo e umano. Già, perché mentre aumentavano a dismisura gli yes-man, venivano allontanate le teste pensanti come Rivera, Maldini e Seedorf. Il timore è che non si potrà più parlare di reale attaccamento alla squadra da parte di chi si considera principalmente businessman e dà la priorità ai meri profitti monetari, di cui la squadra di calcio A.C. Milan è solo uno strumento, una delle numerose fonti di guadagno. Una maniera alternativa di vedere la cosa è pensare che chi ha in mente il guadagno agirà sempre a favore della società e non si potrà permettere di vivere alla giornata come l’ultimo Milan. Allora, meglio un Milan in dubbie mani straniere o in incompetenti mani italiane? Solo il tempo saprà dirlo, ma l’era della presidenza Berlusconi è ormai al requiem.
MVProf