C3S esclusivo: una serata al Garden per Celtics-vs-Cavs!
Atmosfera e cronaca di una serata speciale allo storico TD Garden: a scontrarsi sono le prime due potenze della Eastern Conference, Celtics e Cavaliers
Boston è una città dalle molte facce. La Southie blue collar e la Brookline white collar, i pub irlandesi e i ristoranti italiani, senza contare il panorama multietnico creato dalle 35 università cittadine. Su una cosa, però, i bostoniani si trovano tutti d’accordo: lo sport. Sanno di essere viziati come nessun’altra città, poiché ciascuna squadra dei quattro maggiori sport (NBA, NFL, NHL, MLB) ha portato a casa almeno un titolo nell’ultimo decennio. Così, dopo aver appena finito di spazzare via dalle strade innevate i coriandoli rossoblù sparati al cielo durante la parata per il titolo dei New England Patriots, i fan si colorano di verde e si dirigono alla più vicina stazione della metro, pronti ad assistere ad una delle partitissime della stagione.
I Boston Celtics sono di gran lunga la franchigia cittadina di maggior successo e in città i fan non sono restii a ricordarlo ai molti tifosi ospiti dei Cleveland Cavaliers in viaggio sulla linea verde (colore ricorrente da queste parti) per North Station. Che la metro sia il mezzo più popolare per giungere all’arena è sintomatico della cultura operaia della città – ma non solo, anche perché parcheggiare sulla sempre trafficata Causeway Street ti può portare via tanti dollari quanti quelli pagati per il biglietto della partita. Usciti dalla metro, i tifosi si riversano in massa come una gigantesca onda monocromatica verso il TD Garden e, nonostante la tarda ora, sono accolti da un insolito vento umido che quasi li sorprende; dopo un febbraio con temperature alte da record, questo primo giorno del mese di marzo pare promettere un trattamento simile. Non che non apprezzino, ma a queste latitudini non ci sono affatto abituati.
Molti arrivano al palazzetto circa un’ora prima, specie per evitare il caos dei controlli della sicurezza, ormai paragonabili a quelli di un aeroporto. Passati i metal detector, ad attendere gli spettatori sono le porte dello store ufficiale, che ospita sia merchandising dei Celtics sia dei Boston Bruins, squadra di hockey con cui condividono la struttura. Un giro lo si fa quasi per dovere: vi si trova davvero di tutto, dagli adesivi per la macchina alla bandana per il cane, senza contare i più di 100 tipi di cappelli diversi e il classico ditone in gomma piuma. I prezzi non sono proprio per tutte le tasche: ogni singola jersey (o più banalmente “canotta”) è prezzata $125 più tasse. Grazie, ma no grazie. Una scala mobile porta al primo livello, dove sembra di trovarsi in un centro commerciale in cui si trova un po’ di tutto e la scelta è dura quasi come scegliere un ristorante.
Ristorante come prezzi, però, non necessariamente per qualità: $10 per una fetta di pizza al salame, $12 per una birra light (non che ciò spaventi il bostoniano medio – spoiler alert: saranno quasi tutti sbronzi per metà terzo quarto!), $17 per un hamburger, si sfiorano i $20 per chicken tenders e una coca media. Se siete al risparmio, “venite già mangiati,” come si suol dire… Da sottolineare come il palazzetto non contenga le classiche fontanelle d’acqua tanto tipiche dell’America, maniera poco sottile per invitare il tifoso medio a mettere mano alla Visa o morire di sete. Mettetevi nei panni del pater familias medio e con una botta di conti capirete che 4 biglietti, posto auto, souvenir e cibarie può risultare in una spesa che facilmente si aggira sui $400-$500 a stare bassi. E questo considerando un biglietto del terzo anello, da cui si vede bene, per carità, ma che non è come stare a diretto contatto coi propri beniamini.
In caso di posti in piccionaia, la strategia prevede di infilarsi in uno dei tunnel non sorvegliati ed affacciarsi al campo per dare almeno un’occhiata da molto vicino prima dell’inizio della partita. L’impatto con Garden ha sempre il suo fascino, specie per i suoi 17 banner appesi al soffitto a memoria di altrettanti titoli che certamente incutono rispetto. Ieri, ad esempio, introducendosi di straforo nei pressi del campo con circa tre quarti d’ora dalla sirena si potevano vedere Kyrie Irving e JR Smith allenarsi e provare tiri dalla lunga distanza. Finito il riscaldamento, Irving si è diretto al tunnel degli spogliatoi, fermandosi qualche momento per gli autografi, per la gioia di tifosi giovani e meno giovani in maglia Cavs accorsi in discreto numero.
Ovviamente non si può partire con la palla a due senza l’inno americano, eseguito questa volta da un giovane ragazzo in papillon che si prende gli applausi scroscianti dei più di 18mila fan presenti. Seguono le presentazioni dei quintetti, in tono dimesso quello dei Cavs e con mille giochi di luci e laser quello Celtics. Si passa quindi al basket giocato. In NBA non ci sono mai pause vere e proprie e così, mentre coach Lue chiama il primo timeout dopo un allungo dei Celtics, sul parquet si esibisce un gruppo di giovanissimi ballerini sulle note di “Jump,” per tenere sul pezzo un pubblico comunque sempre molto caldo. Intanto sul jumbotron passano le immagini dei fan all’arena, fra i quali è presenza costante Big Nick, un teenager occhialuto che è diventato un’icona anni fa durante una dance cam e che siede vicino al padre. Questi sfoggia una t-shirt verde con la caricatura del figlio, attaccandosi con le unghie a quel quarto d’ora di celebrità che al Garden pare resettare le lancette dell’orologio ad ogni nuova palla a due. Il jumbotron è forse la cura all’infelicità umana: avete forse mai visto qualcuno rimanere triste una volta inquadrato sul maxischermo?
Al ritorno in campo si verificano i primi cambi, ma chi non cambia mai è LeBron. Pur essendo la terza volta che si assiste ad una sua partita dal vivo, solo con lui si ha l’impressione di assistere ad un miracolo sportivo ad ogni tocca di palla. L’assist in penetrazione per la tripla di Derrick Williams dall’angolo è qualcosa di quasi sleale nei confronti di chi certe cose non potrebbe farle nemmeno alla Playstation. Con 3:51 da giocare nel quarto debutta in maglia Cavs Deron Williams, il “fucking playmaker” appena firmato dopo le ripetute richieste di King James. Quando coach Stevens manda in campo i suoi giovani Rozier, Smart e Brown, coach Lue risponde con i veterani Jefferson, Korver e appunto Williams, e non sorprende che in questo frangente arrivi il primo mini-allungo Cavs, che chiudono il primo quarto avanti 26-20.
Nemmeno fra i due quarti l’intrattenimento cessa e, mentre i giocatori si riposano, la Miller sponsorizza un tiro da metà campo per un fan estratto a sorte dalla folla. Il valore del tiro, se realizzato, è di ben $50mila. Il tiro fa tremare la retina, ma vi passa sotto. “Sarà per la prossima volta,” dice l’annunciatrice, forse non memore del fatto che non molti estranei per la strada offrano 50 bigliettoni in cambio di un canestro. La partita riprende e va segnato il gesto tecnico di Richard Jefferson: pur dall’alto dei suoi 36 anni, dimostra ancora di avere le molle nelle gambe, convertendo un alley-oop che lascia il giovane Rozier con la faccia nei pressi dei gioielli di famiglia di RJ. La reazione è tutta un programma. Alla successiva interruzione, si presenta sul parquet Derek Thomson, l'”Hero of the game” per la partita. L’uomo, ex preside di liceo o ora costretto in carrozzella dalla SLA, ha promosso attività benefiche coi suoi studenti, e insieme hanno raccolto circa $30mila per la ricerca. Il palazzetto apprezza e si alza in suo onore per un sentito applauso. Alla ripresa manca LeBron, seduto in panchina per del meritato riposo: occasione d’oro per i Celtics che colmano i gap e agguantano il pari. Col suo ritorno in campo, LBJ riporta però avanti i Cavs, che arrivano all’intervallo lungo sopra di una lunghezza, 50-49.
L’intrattenimento di metà partita è un grande classico del Garden e non solo, ossia il Dunk Team che schiaccia a canestro in maniera spettacolare grazie ai tappeti elastici posti sotto al canestro. Una buona metà del pubblico ha però altri programmi, in fila per il bagno o alla cassa per il secondo (o terzo) giro di birre. La ripresa delle ostilità vive della solita intensità, in un susseguirsi di mini-allunghi seguiti da contro-parziali; pur in una serata quieta, LeBron ha già fatto registrare 18+10+7 nemmeno a metà terzo quarto. Con 7:05 da giocare Isaiah Thomas si presenta alla linea del tiro libero e il pubblico gli tributa l’onore del coro “MVP-MVP-MVP.” Non lo vincerà quest’anno, ma per chi entrò nella lega come 60° e ultimo giocatore scelto al draft è un riconoscimento non da poco. Chi invece ha avuto un percorso diametralmente opposto è Kyrie Irving, scelto alla #1 e fin da subito faccia della propria franchigia. Una tripla delle sue in un quarto da 15 punti risponde idealmente al “gemello diverso” Isaiah. All’ultimo intervallo, i padroni di casa sono comunque avanti 74-71.
Durante l’ennesima esibizione del Dance Team (alias le cheerleader), vengono sparate t-shirt fra la folla con una sorta di bazooka ad aria compressa. Pur trattandosi di t-shirt di poco valore, i fan si accapigliano come dei poveri affamati su una tavola imbandita, tanto che viene da pensare che accopperebbero la nonna pur di accaparrarsene una. Intanto sul jumbotron Mel Gibson arringa i suoi uomini in “Braveheart,” annunciando così ai fan che gli ultimi 12′ della partita stanno per cominciare. Sull’82-79 Cavs, LeBron vola tentando il tap-in a canestro, ma finisce lungo e fra la folla, finendo quasi per travolgere nientemeno che Bill Belichick. “Ho rallentato perché sapevo che era seduto lì,” dirà LBJ dopo la partita, “non volevo certo stendere una leggenda.” La povera Ellie Day a suo tempo non fu altrettanto fortunata.
Belichick non è il solo vip all’arena e nella susseguente pausa passano in rassegna sul jumbtron alcuni volti stranoti dello sport, fra cui il pugile Floyd Maywheather, il RB Legarrette Blount e appunto Bill Belichick. L’influsso del felpato non conosce limiti di sport e al possesso immediatamente seguente Cleveland perde palla – anche per oggi la magia di Belichick ha contribuito al successo di una squadra di Boston. Sul campo Isaiah Thomas distribuisce due assist capitali per Bradley e Crowder, che connettono entrambi per il 96-94 con 1:09 da giocare; LBJ risponde servendo su un piatto d’argento a Korver l’unico canestro della sua serata, centrando così la sua personale settima tripla-doppia stagionale.
Timeout Celtics e fan a indicare l’orologio, come a ricordare a tutti che il 4° quarto è l’habitat naturale di Isaiah Thomas, ribattezzato di recente “King in the Fourth” (parodia del King in the North de “Il Trono di Spade”). IT non delude e manda a bersaglio una tripla da quasi otto metri per il 99-97. Ultimo possesso Cavs: Irving cerca di scrollarsi di dosso l’asfissiante marcatura di Bradley, che lo induce ad un tiro impreciso. Tristan Thompson strappa il rimbalzo e riapre per LeBron che, raddoppiato, scarica in angolo per un solissimo Deron Williams. Il suo tiro è sul ferro e, pur essendo stata presa la decisione corretta, LeBron si conferma un giocatore non decisivo nel momento clou di una gara. Dopo 19 parità e 24 cambi al comando, la partita finisce così 103-99, coi Celtics finalmente in grado di battere i Cavs dopo diversi tentativi andati a vuoto. Mentre quasi ventimila anime svuotano l’arena, un trombettista di strada accompagna i fan sulle note di “When the Saints go marching in.” Causeway Street è di nuovo intasata e la linea verde come sempre in ritardo, ma almeno i tifosi Celtics possono tornare a casa soddisfatti – ebbri di gioia e di birra.
MVProf