Brooklyn Man
L’arrivo di Kyrie ai Nets presenta grandi ambizioni, ma anche alcuni rischi
I Brooklyn Nets sono la squadra più calda dell’estate. E chi se lo sarebbe aspettato, fino a pochi anni fa? Grazie soprattutto al GM Sean Marks, architetto del loro rilancio, stagione dopo stagione i Nets hanno agito sotto traccia e in maniera certosina per diventare competitivi. E così domenica scorsa finalmente hanno messo a segno due grandi colpi, mettendo sotto contratto Kyrie Irving e Kevin Durant. Curiosamente, il primo dei due top free agent citati arriva proprio da quei Boston Celtics con i quali nel 2013 i Nets operarono una trade paragonabile a livello cestistico solo al sacco di Roma. Il testa a testa a distanza fra le parti avrà una particolare importanza in primis per Kyrie, ex Celtics che ha scelto di legarsi ai Nets per i prossimi 4 anni a $141M. Singolarmente, il play può essere considerato il vero vincitore di questa free agency. Da un lato, ha dalla sua la narrativa che sia stato lui a reclutare KD ai Nets e il fatto che, con quest’ultimo ai box forse per l’intera stagione 2019-20, avrà il totale controllo sulla squadra. Per di più, per la prima volta dai tempi di Duke, questi ha finalmente avuto voce in capitolo su dove andare a giocare a basket e la scelta è ricaduta su casa.
Cresciuto a West Orange, un tiro di schioppo dalla magione dei New Jersey Nets a East Rutherford, in questi giorni è sembrato sempre più chiaro il desiderio di Irving di tornare alle proprie radici e stabilirsi nell’Empire State. Per almeno un anno, i New York Knicks hanno accarezzato il sogno di portarlo al Garden insieme a Durant, salvo poi – come da copione – ripiegare mestamente su Ellington e Randle. A sottolineare l’importanza di fare ritorno nella zona che lo ha visto compiere i primi palleggi è stato Kyrie stesso tramite un video postato su Instagram, intitolato “Home is where my heart is.” Tutto molto poetico, ma condito di una dose non indifferente di revisionismo. Quando a luglio 2017 chiese ai Cleveland Cavaliers di essere scambiato altrove, il suo pool di destinazioni gradite comprendeva Miami, San Antonio, Minnesota e NYC. Di Brooklyn nessuna traccia. Certo, casa non doveva sembrare così allettante allora, dal momento che quell’anno i Nets avevano finito la stagione ultimimissimi in NBA con un record di 20-62. Scambiato quindi ai Celtics, appena lo scorso ottobre aveva proclamato davanti a compagni e fan in delirio l’intenzione di firmare un nuovo contratto e restare a Boston, salvo nuovamente cambiare idea nel corso dell’anno.
Non che questo cambiamento sia stato repentino e imprevisto. Anzi. La stagione 2019 dei Celtics di Kyrie, come già avevamo documentato qualche mese fa, è stata come l’Hindenburg: dal senso di orgoglio per le grandi aspettative a quello di impotenza nel guardarlo bruciare. Vale la pena ribadire che, non solo in questi due anni Boston aveva un record migliore senza Kyrie (.661) che con lui in campo (.614), ma anche che il play è parso essere il principale responsabile della costante mancanza di chimica nello spogliatoio, circostanza che si è rivelata la pietra tombale dell’esperimento Irving-Boston. Gli ultimi eventi potrebbero però fornire una nuova lettura dei suoi ultimi mesi in Massachusetts e gettare dubbi ancora maggiori sulla sua leadership. Una fonte ha riferito a Mark Murphy del Boston Herald che “I do know there was some tampering across the league. Kyrie and Kevin Durant were done in Brooklyn months ago.” Il marker temporale utilizzato – months – potrebbe allora spiegare le sue seratacce al tiro ai playoff, dove ha chiusa la serie contro i Bucks tirando col 30% dal campo e il 19% da tre. Insomma, forse già da allora Kyrie non solo si preparava a lasciare la barca dei Celtics mentre affondava, ma in un certo senso era lui stesso a fare i buchi nella chiglia.
E così ora Kyrie farà parte di un collettivo Nets che a molti giustamente ricorda molto proprio quei Celtics ai quali si unì due anni fa, ovvero un gruppo di giovani overachiever allenati da uno stimato coach alle prime armi (Stevens/Atkinson), la cui ex stella playmaker (Thomas/Russell) è stata lasciata partire per far spazio a Irving. Se però questi ha faticato a tirare fuori il meglio da giovani come Tatum, Brown e Rozier, è tutto da dimostrare che saprà fare di meglio con LeVert, Allen e Harris, peraltro con in più il fiato sul collo della stampa newyorkese. C’è anche da sottolineare che a Brooklyn non potrà contare su esperti veterani come Horford e Morris: pur a soli 27 anni, Kyrie sarà il terzo giocatore di rotazione più maturo dopo Jordan e Temple. Tuttavia, va anche considerato che i Nets versione 2019-20 potranno contare su due vantaggi unici.
Da un lato, il poter essere realisti sulle proprie possibilità: se anche Vegas li mette al quinto posto fra i favoriti, sanno di non essere completi fino al ritorno di Durant. Dall’altro, in questo collettivo le gerarchie e i ruoli sono più definiti, e gli interessi dei singoli paiono coincidere con quelli collettivi. Detto ciò, è inequivocabile che fin dal prossimo anno le sorti future dei Nets dipenderanno in grand parte da Kyrie. Fino a che punto saprà esaltare un gruppo talentuoso e affamato, ma poco esperto? Come reagirà davanti a una serie negativa di 7 sconfitte in 12 partite? E, soprattutto, in che condizioni Durant troverà la squadra al suo ritorno? Quel che è certo è che Kyrie ha cercato fortemente le responsabilità e questo contesto. Alienarsi una franchigia e i suoi fan per la terza volta potrebbe rivelarsi fatale per la sua legacy e per il suo futuro a Springfield.
MVProf