Boogie & i Kings: una storia di fallimenti condivisi
Tutti i retroscena che hanno portato al clamoroso addio di Cousins ai Kings
Quando si fa una lista delle franchigie più disfunzionali delle tre maggiori leghe americane, bene o male si ritrovano quasi sempre i nomi dei soliti habitué. In NFL regnano – si fa per dire – i Cleveland Browns (per chi avesse bisogno di un riepilogo dei loro sfortunati eventi, iniziate da qui e seguite le molliche di pane), mentre in NBA New York Knicks e Sacramento Kings si sfidano da anni per decretare chi se la passi peggio. Per i newyorkesi un articolo apposito è già in cantiere, ma eventi recenti hanno dato ai Kings la precedenza fra le pagine di questo blog. Domenica scorsa, a All-Star game appena concluso, è diventata ufficiale la trade più importante e al tempo stesso imprevista di questa metà stagione. I Kings hanno scambiato DeMarcus Cousins e Omri Casspi coi New Orleans Pelicans in cambio di Buddy Hield, Tyreke Evans, Langston Galloway, più una prima e una seconda scelta al prossimo draft. Proprio la mera comparsata del centro dell’Alabama alla partita delle stelle (appena 2′) aveva fatto alzare qualche antenna, visto che è tipico di un giocatore prossimo alla trade restare a riposo o sfiorare appena il parquet.
Quello che sorprende, oltre appunto al peso del giocatore principale coinvolto, il tre volte All Star Cousins, è sia la tempistica sia la contropartita. Nelle settimane precedenti alla trade deadline, fissata per il 23 febbraio, i Kings, nella persona del GM Vlade Divac aveva tolto Cousins da ogni proposta di trade e lo stesso giocatore si era detto certo di voler rimanere a Sacramento per tutta la carriera e ricevere l’onore di un banner innalzato nel nuovissimo Golden 1 Center con sopra il suo nome. Peccato che solo uno dicesse il vero. Cousins non aveva intenzione di cambiare casa e il lato affettivo con la città forse meno seducente della California è solo secondario a quello economico. Dato il nuovo regolamento sui contratti del nuovo CBA, rifirmando con Sacramento il contratto in scadenza nel 2018, Cousins sarebbe stato eleggibile per un contratto al massimo salariale per 5 anni a $170M. Questa opzione è ormai fuori dal tavolo e, pur potendo firmare un contrattone al massimo consentito coi Pelicans fra un anno, il giocatore “perderà” sui $30M in virtù del decadimento della DPE, non applicabile dopo una trade.
Oltre a questo, stupisce anche la pochezza della contropartita ricevuta. Tyreke Evans (ROY nel 2009 proprio con i Kings) e Langston Galloway sono solo i pezzi di contorno di una trade che vede in Buddy Hield il vero pezzo pregiato su sponda Kings. Il giocatore, guardia scelta all’ultimo draft con la sesta chiamata assoluta, ha certamente potenziale e arricchisce un backcourt assai modesto. Tuttavia, il suo anno da rookie non è stato sfavillante: in 57 gare coi Pels, Hield ha totalizzato in circa 20′ di impiego 8.6 punti, 2.9 rimbalzi e 1.4 assist, il tutto tirando col 39%. Eppure il proprietario dei Kings, Vivek Ranadivé, lo considera il prossimo Steph Curry…
L’altra contropartita di maggior rilievo è la prima scelta ricevuta, pur protetta se nella top 3: stando a fivethirtyeight, al momento le possibilità che ciò avvenga sono circa dell’8%. Tuttavia, se i Pelicans dovessero scendere di appena due posti in graduatoria, le chance passerebbero in un lampo al 31%. Insomma, ai Kings non resta che sperare che ai partner in affari le cose vadano male, ma non troppo. Se Cousins ha successo a NOLA e con lui la squadra va ai playoff, la scelta diventa alta (dalla 15° in su) e perde di valore, mentre se il giocatore si conferma mela marcia, la scelta potrebbe diventare top-3 e rimanere in Lousiana.
Eppure c’è la marcata sensazione che ciò potrebbe essere quasi del tutto ininfluente. Così come i San Antonio Spurs ogni anno che il Signore manda in terra vincono almeno 50 partite, esiste la certezza quasi matematica che i Kings avranno un’annata storta e che poi avranno un draft tragico. Da dieci anni, quindi ben prima dell’arrivo di Ranadivé, i Kings sono costantemente in lottery, con la possibilità di costruire la squadra per l’anno successivo con uno dei 10 migliori talenti dell’NCAA. Pur non avendo mai potuto contare su una scelta migliore della #4, Sacramento ha avuto anno dopo anno la possibilità di studiare i prospetti al draft e operare una scelta oculata, fallendo però inesorabilmente – certo non aiutati dai continui rimpasti societari. Questa la tabella creata ad hoc relativa agli ultimi 5 anni (escludendo quindi l’ancora incerto Draft 2016) con tutte le info del caso:
Come si evince dalla tabella, in cinque anni consecutivi (sei con quello in corso) i Kings non hanno mai avuto per più di un anno la stessa combinazione di proprietario-GM-allenatore. Pensate che addirittura in quegli stessi anni sono passati dal giocare all’ARCO Arena alla Power Balance Pavilion e poi alla Sleep Train Arena… il tutto senza muoversi di un metro. Insomma, pure il palazzetto stesso aveva crisi di identità! Quella dei migliori giocatori su piazza al tempo della chiamata rispetto al giocatore effettivamente selezionato è un gioco chiaramente pericoloso e strettamente ex post. Ciononostante, questo non impedisce di immaginare un quintetto dei sogni con tutti i talenti che Sacramento si è lasciata scappare. Con anche solo un paio fra Lillard, Thompson, Leonard e Green, i Kings navigherebbero in acque ben diverse.
Se è vero che parlare col senno di poi di chi è cresciuto cestisticamente in culture e sistemi diversi può sembrare banale, è invece innegabile che i Kings siano fra i peggiori su piazza nel valutare ed esaltare i giocatori del proprio roster. Nel 2011, ad esempio, Kings avevano in squadra Isaiah Thomas e Hassan Whiteside. Il primo fu scambiato in cambio di brustoline pur avendo da titolare chiuso la stagione con 20 punti e 6 assist di media e ora domina l’NBA da Boston. Discorso simile per Whiteside, tagliato da Sacramento senza rimpianti e ora a Miami si è dimostrato uno dei centri più dominanti su piazza. Non certo più positivo si è rivelato il mercato dei free agent, fra veterani bolliti (Butler, Rondo, Lawson e Barnes) e mestieranti fuori da ogni progetto tecnico (Koufos, Afflalo, Tolliver, e il paisà Marco Belinelli).
Detto fin qui – benché solo in parte – delle lapalissiane disfunzionalità della franchigia, passiamo ora al giudizio del secondo imputato, DeMarcus Cousins. Contro le sue abilità strettamente cestistiche, nessuno può preferire parola. La sua crescita negli ultimi anni è stata impressionante, specie l’implementazione di un solido tiro da tre creato dal nulla e inesistente nei suoi primi cinque anni in NBA. Al momento della trade, Boogie stava tenendo una media di 28 punti e 11 rimbalzi, che è quasi la fotocopia di quanto tenuto da Anthony Davis (28 e 12), come lui ex-stella nella Kentucky di coach Calipari e ora suo nuovo compagno di squadra.
Per la cronaca, si tratta di cifre statistiche che solo loro due stanno mantenendo nell’intera lega. Sulla carta, i due potrebbero formare il frontcourt più minaccioso della lega. Peccato che a basket però si giochi sul parquet e non sulla carta. Perché se è vero che in questi sette anni DMC è stato l’unico King degno di essere ricordato, non va sottovalutata la complessa personalità del giocatore. Il 7 febbraio ha ricevuto il 16° fallo tecnico dell’anno, il significa due cose. Primo, che ha strappato a Dwight Howard il poco invidiabile record di giocatore più veloce di sempre ad arrivare a tale traguardo, battendolo di un mese intero; secondo, ciò comporta che ogni due tecnici da qui fino a fine stagione DMC dovrà essere sospeso per una partita. Non si tratta affatto di un’annata storta o di un’aberrazione statistica – questo il numero di tecnici fischiatigli nella carriera: 15 (2011),13 (2012), 17 (2013), 16 (2014), 15 (2015) e 17 (2016). Ad oggi, siamo già a quota 18. Tantini, ma pur sempre lontano altre 24 T maiuscole dal record all-time per una singola stagione stabilito da sua maestà Rasheed Wallace. Ma siamo ancora solo alla punta dell’iceberg.
Il primo allarme rosso arriva direttamente dal suo anno da rookie, quando in uno dei suoi primissimi allenamenti ebbe uno scambio acceso con il coaching staff e Paul Westphal fu costretto ad allontanarlo. Da lì ha coltivato quella che in gergo viene detta fama da giocatore mangia-allenatori. Dopo Westphal, cadono vittime delle sue sfuriate anche Keith Smart e George Karl, che non faticano a gestire l’esuberante personalità del centro, ma finiscono anche per finirne vittima, licenziati in loschi giochi di potere che vedevano Cousins avere sempre la meglio. A finire nel suo mirino sono stati anche annunciatori e giornalisti. Fra i primi Sean Elliott degli Spurs e Grant Napear degli stessi Kings, oltre che Andy Furillo, anziano giornalista del Sacramento Bee minacciato con parole e gesti, poiché “colpevole” di aver scritto un pezzo a suo dire diffamatorio su di lui circa una rissa che aveva coinvolto lo stesso giocatore in un locale di New York. Persone informate dei fatti hanno fatto trapelare che non si tratterebbe del primo episodio simile quest’anno, bensì del primo avvenuto davanti a una telecamera. Il risultato è stata una maxi multa salata di $50,000.
Tirando le somme, in sostanza, chi ci ha guadagnato dalla trade? Ad una prima occhiata, i Pelicans. Questo per il semplice fatto di essersi assicurati un ottimo giocatore a prezzo di saldo. Per un mercato come quello di NOLA, che televisivamente è stato il peggiore in NBA nel 2015-16, è oro colato. I Kings appaiono i veri perdenti, essendosi privati del proprio miglior giocatore e non avendo ricevuto contropartite adeguate. Tuttavia, se DMC sarà costante nella propria incostanza, i californiani si troveranno per le mani una scelta alta in un draft che si prospetta molto profondo e con Hield un gran bel talento da coltivare. In più, hanno l’occasione d’oro di iniziare un capitolo nuovo della loro storia senza doversi ammanettare ad una testa calda come Cousins fino al 2023.
Facendo un’analogia da cinefili incalliti, si può vedere questa trade come una riedizione cestistica della celebre scommessa che i fratelli Duke fanno nei bagni della loro azienda in “Una Poltrona per Due”. Mortimer (i Kings) e Randolph (i Pelicans) scommettono se Billy Ray Valentine (Cousins) sia maggiormente condizionato da fattori intrinseci come la predisposizione genetica o da quelli estrinseci, ovvero l’ambiente di cui ci si circonda. Se levare Boogie dal ghetto di Sacramento e dargli una bella ripulita farà esaltare il lato più positivo del giocatore, allora i Pelicans avranno un futuro davvero roseo davanti. L’unica differenza, se vogliamo, sta nel prezzo di questa scommessa. Nel film, si tratta solo di una banconota da un dollaro, ma per il diretto interessato si tratta di milioni e milioni di dollari.
MVProf