7 a settimana – NFL week 4
Ogni settimana tratteremo sette spunti di riflessione più o meno seri donatici dalla National Football League
ARANCIA MECCANICA – Travestirsi da Denver Broncos non è servito ai Miami Dolphins di arancio vestiti, umiliati anche di giovedì in Ohio, quattro giorni dopo la stentata vittoria coi vicini di casa di Cleveland. La partita vive dei suoi highlights nel primo quarto. Dopo l’interminabile drive dei Cincinnati Bengals chiuso con FG, Ryan Tannehill decide di provare l’ebbrezza di giocare un primo quarto per la prima volta in stagione. E così, mentre domenica scorsa il secondo lancio era risultato in un intercetto, stavolta il secondo risulta in un TD a Kenny Stills di 74 yard che trova impreparata la difesa tigrata. Sarà anche l’unica volta. La “color rush” avvantaggia palesemente Andy Dalton, che vede arancione in ogni dove e si galvanizza; quindi si aggiusta il ciuffo cromato e connette con una bomba ad AJ Green, incontenibile per la secondaria avversaria. Per dare l’idea, il WR da Georgia dopo tre quarti di gara totalizza un fatturato di yard che da solo supera quello totale di Miami (166-152). Riassumendo il resto della gara, Mike Nugent, Mike Nugent, Mike Nugent e… Mike Nugent. In totale, cinque field goal senza errori per il kicker della franchigia meno scarsa dell’Ohio, per la gioia di chi lo possiede al fantasy, ma non di certo per quella degli spettatori. Finisce, se mai era iniziata, 22-7. In tutto Tannehill subisce 5 sack da parte di una difesa che lo ha blitzato solo il 5% dei possessi; il che, tradotto, vuol dire che sono bastati i quattro uomini di linea dei Bengals per far un sol boccone della O-Line della Florida. Miami resta la squadra incompiuta che è sempre stata dal post-Marino, fra i sognatori che ancora si mangiano le mani per il drop di Stills in week 1 contro Seattle e i cinici che sanno che giusto una vittoria per il rotto della cuffia contro i Browns ha potuto portare una striminzita W. Si prevede un record finale di 4-12.
CHI DI UOVO FERISCE… – Se siete appassionati di numerologia, il 16 è un numero dai molti significati. Esso viene indicato come “un numero ambivalente, [che] simboleggia le avversità, che possono essere benefiche quando portano ad un cambiamento costruttivo, mentre sono negative quando portano l’individuo alla caduta verso la distruzione.” In quel di Boston, il 16 ricorda la perfect season del 2007, in cui dopo un immacolato 16-0 in stagione i Pats furono fermati sul più bello e portati alla distruzione da David Tyree e il suo arcinoto helmet catch. Nella smorfia napoletana, il 16 rappresenta il sedere, anzi proprio o’ culo, qualità cui senz’altro Tyree fece ricorso quella sera di febbraio in Arizona. E ora, nel ’16, il sogno dei New England Patriots di un’altra stagione da 16-0 è stato annichilito dalla sconfitta per 16-0 di domenica contro i Buffalo Bills. Direi che i conti tornano. Che una squadra capitanata da un rookie QB di terza fascia perda una partita non è di per sé una notizia, ma lo è se quella stessa squadra è allenata dal maestro felpato. L’uovo domenicale – che, se non fosse chiaro, significa zero in quanto a punti segnati – viene dopo l’altro uovo che gli stessi Pats avevano rifilato ai Texans. Si tratta di un ribaltone per certi versi clamoroso, anche perché arrivato per mano di Rex Ryan (1-8 contro Bill Belichick in trasferta fino a sabato sera) e ai danni di chi di uova in casa non ne deponeva dal 1993, ovvero prima ancora della costruzione del Gillette Stadium. Per dare un’idea di quanto sia passato, al tempo Tom Brady andava al liceo. Proprio TB12 tornerà domenica prossima contro i Browns, sparring partner designato per la vendetta del marito di Gisele. Nella conference call del lunedì il lord sith incappucciato si è detto esitante nello speculare il potenziale impatto del ritorno del figlioccio Brady. Del resto, non si diventa signori oscuri sfidando la volontà degli dei del football, che avranno la parola definitiva sulle dozzine di punti di scarto fra Pats e Browns settimana prossima. E a proposito di dei…
GLI DEI DEL FOOTBALL RESTANO IMBATTUTI – In questa week 4 tutte le squadre fin qui rimaste a zero W hanno avuto un moto d’orgoglio e conquistato la prima tacca sulla parte sinistra del calcio del fucile. In mattinata, a lasciare il fondo dello schieramento sono i Jacksonville Jaguars, vittoriosi a Wembley contro i Colts; seguono i Chicago Bears che battono i Lions in una deprimente sfida divisionale e i New Orleans Saints che hanno la meglio sui Chargers nella battaglia fra Brees e Rivers. Quasi tutte partite da testa o croce, dopotutto fra squadre il cui record combinato è un mesto 6-18. Fanno eccezione – sorpresa sorpresona – i Cleveland Browns. Il motivo è palese: l’aver sfidato gli dei del football. È un errore da principianti, ma non per questo meno grave. Nella sfida contro i Washington Redskins arrivano comandare fino al 14-0 nel primo quarto. Sembra tutto avviato per un successo, ma gli dei stanno solo preparando una caduta ancor più fragorosa. Pur essendo essi in debito coi Browns per aver impropriamente favorito i Dolphins settimana scorsa e aver lasciato Josh Gordon ai suoi demoni, Terrelle Pryor con la sua impudenza ha condannato i suoi. Infatti, in settimana aveva dichiarato che i Browns sarebbero stati in grado di vincere tutte le restanti partite della stagione. La lezione è stata di quelle indigeste: fumble in red zone a fine 3° quarto, fumble a inizio 4° quarto e INT di Norman a sigillare la pratica. Dite che Pryor ha imparato dai suoi errori di giudizio o secondo voi si metterà a stuzzicare Brady in vista del meeting domenicale? Si consiglia di riconquistare il favore dei celesti con un sacrificio di sangue, per esempio versando quello impuro del kicker Cody Parkey.
TIROMANCINO – Perché sono due destini che si uniscono. Mi riferisco a quelli di Carolina Panthers e Arizona Cardinals, squadre legate a doppio filo da una comune sorte: dopo essersi sfidate per la corona della NFC sette mesi fa, ora entrambe si trovano in fondo alla propria division con un record di 1-3. Ciò a seguito di una doppia sconfitta in una sfida divisionale e con entrambi i QB valutati dagli staff medici per una possibile commozione cerebrale. Che Carolina non fosse più quella di dab e smargiassate varie si era intuito presto, sconfitti nella rivincita del Super Bowl L dai Broncos, smonatati a pezzetti da Minnesota in casa e ora passati a fil di spada dal dinamico duo di Matt Ryan e Julio Jones. Matty Ice lancia per 503 yard e Julio riceve per 300 tonde, prima storica doppietta nella storia della NFL di 500 e 300 yard in una singola partita da parte dello stesso duo. Nella sua villa in oro massiccio a DC, Josh Norman sorride divertito. Arizona dal canto suo sembra ancora rintronata dalla scoppola subita proprio dai Panthers a gennaio. La vittoria contro Tampa è stata un fuoco di paglia, specie perché arrivata contro un Winston in panne (8 INT) e contro la seconda peggior difesa della lega (128 punti concessi). L’impressione è che ad Arians e ai suoi si concedano sempre delle attenuanti: prima Belichick che avrebbe trasformato Jimmy Garoppolo in un fenomeno, poi i Bills che avrebbero avuto uno scatto d’orgoglio per salvare la panchina di Rex Ryan e ora l’infortunio di Palmer (certo che Drew Stanton coi suoi due INT in quattro passaggi non ha certo aiutato la causa). La verità è che Case Keenum, lo stesso QB che in week 1 aveva ammesso di aver visto i fantasmi in campo dopo il tracollo contro i Niners, è sembrato Joe Montana, avendo avuto tutto il tempo del mondo per lanciare e connettere con ricevitori spesso e volentieri lasciati soli in intere praterie. Secondo le statistiche, le squadre che iniziano la stagione 1-3 hanno il 14,5% di speranze di centrare i playoff. Panthers e Cardinals dovranno sudarseli duramente, perché nessuno regalerà loro niente.
SLIDING DOORS – Detto della caduta dei patrioti e dei corvi del Maryland, a restare imbattute rimangono i Minnesota Vikings (24-10 ai Giants), i Denver Broncos (27-7 ai Bucs) e i Philadelphia Eagles, questi ultimi in bye week. Quello che è interessante è la serie di eventi che ha portato a tali successi, per diverse ragioni assai inattesi. I Vikings erano pronti a gustarsi i progressi di Teddy Bridgewater, quando un banale quanto terribile infortunio al ginocchio lo ha portato sotto i ferri ancor prima di cominciare la stagione. Nonostante l’apparente e incondizionata fiducia a Shaun Hill, dal ponte di comando della nave vichinga è partito l’ordine di mandare una prima e una quarta scelta a Philly per avere in cambio Sam Bradford. L’ex prima scelta assoluta, dal canto suo, era in una posizione scomoda, poiché l’arrivo in estate in casa Eagles di Carson Wentz, ex-QB di North Dakota State, aveva fatto intuire a Bradford di essere solo un traghettatore. Incredibile ma vero, per ora sembrano tutti felici e contenti della tanto chiacchierata trade. Per ora, perché la stagione è ancora lunga. A monte di tutto, però, c’è un’altra trade, precedente al draft, in base alla quale i Browns avevano rinunciato alla seconda chiamata assoluta per scendere all’ottava, sentendosi forti di avere in squadra RGIII e Josh McCown. Quindi, in un universo parallelo in cui nulla di tutto ciò è avvenuto, Wentz gioca – ma non vince – a Cleveland (in qualunque universo alternativo RGIII resta di cristallo e i Browns un disastro), Bradford alterna alti e bassi in maglia Eagles e Bridgewater continua la sua – lenta – scalata al successo. Questo turbinio di eventi non si ferma qua. Lo stesso Trevor Siemian ha dribblato svariati ostacoli posti davanti a lui prima di assumere le redini dei Broncos: in ordine cronologico, il ritiro di Peyton Manning, l’addio di Brock Osweiler, il fallimento di Mark Sanchez e l’immaturità di Paxton Lynch. Infine, in materia di casi della vita, vale la pena menzionare Dak Prescott. Benché non imbattuto come i colleghi della lista, è l’unico QB insieme a Wentz a non aver lanciato un singolo intercetto dall’esordio in week 1 e l’unico nella storia ad averlo fatto lanciando per più di mille yard. L’episodio chiave anche qui è stato un infortunio – per quanto, trattandosi di Tony Romo, non esattamente impronosticabile. Dopo che lo scorso anno i Dallas Cowboys avevano patito pesantemente l’assenza di un backup QB decente, la decisione di scegliere Prescott al draft si è rivelata tanto azzeccata quanto quella di due anni fa di non prendere Johnny Manziel. Regolati i 49ers domenica (24-17), all’orizzonte si prospettano i Bengals in casa e i Packers a Lambeau, prima del bye di week 7. Non è utopia ipotizzare che i Cowboys possano arrivare alla week 8 con un record di 5-1. A quel punto, Romo potrà ufficialmente rientrare in squadra. La meritocrazia insegna che è giusto premiare chi si è conquistato con virtù la propria posizione, ma con Jerry Jones a prendere le decisioni dall’alto è facile prevedere cosa succederà. “Tony gives us the best chance to win. And when he’s ready to play, we want him on the field,” ha dichiarato di recente l’eccentrico proprietario. Ciò porterà all’inevitabile pietra tombale della stagione dei texani. C’è chi segue i segni del destino, chi abbraccia gli imprevisti delle porte scorrevoli… e poi c’è Jerry Jones che fa asfaltare porte, finestre e mobilio vario, alla faccia della ruspa di Salvini.
IATROFOBIA – Letteralmente, si tratta della paura dei medici. È forse la definizione più accurata per descrivere la situazione mentale di Dez Bryant, almeno fino a quando non sarà coniato il termine per indicare la “paura dei risultati potenzialmente negativi derivanti da un risonanza magnetica in seguito ad un infortunio subito.” Quello che è successo al ricevitore dei Cowboys è fra il paradossale e il comico. Bryant ha subito una distorsione del ginocchio destro nel Sunday Night contro i Bears di settimana scorsa. L’infortunio, apparso inizialmente abbastanza serio, non ha però pregiudicato nell’immediato la prestazione del WR, capace di segnare un TD nel prosieguo della gara. Tuttavia, non si è poi presentato il lunedì alla valutazione obbligatoria per giocatori infortunati né ha partecipato al meeting generale del martedì. Questo ha portato ad un ritardo della risonanza magnetica e quindi della prognosi, che è di sottile frattura al ginocchio. Il giocatore temeva esiti ben peggiori e per evitare di assitere la sentenza ha pensato di evitarla del tutto. Una società seria avrebbe preso decisioni forti a riguardo, ma coach Jason Garrett ha scelto la linea soft che da sempre lo contraddistingue, usando più parole al miele che di rimprovero per la sua star:
“It stems from someone who is very passionate about what he does and he did not handle this the right way. He expressed that to me. He expressed that to other coaches and teammates. You can understand why he did what he did, given the passion that he has for the game and for this football team and where he thought he was. […] He was completely well-intended. […] It was an understandable response given his personality and everything he puts into this.”
L’episodio ha aperto una diga di illazioni nei confronti di Bryant. Infatti, sono emerse voci secondo le quali saltare i controlli medici sarebbe routine per il giocatore, senza contare che quello di martedì non solo non sarebbe il primo meeting saltato, ma addirittura egli ne avrebbe saltati fino a 40 dal 2010 a oggi. Bryant ha ovviamente negato tutto, ma Jerry Jones – ancora lui – ha scelto un modo quantomeno curioso di commentare la questione, affermando che non esiste un registro ufficiale a riguardo e che quindi solo Dio sa quanti meeting il #88 possa aver saltato durante la sua carriera. Fortuna che ci pensa Jerry a sabotare una stagione che altrimenti rischiava di diventare vincente.
THEY TRIED TO MAKE ME GO TO REHAB – È sport tanto crudele quanto necessario infierire su Cowboys e Browns in questo modo, ce ne rendiamo conto tutti. Ma quando le storie sono così appetitose che quasi si scrivono da sole, non si possono lasciar scappare. In base a quanto appreso giovedì, il giocatore dei Browns Josh Gordon entrerà in un centro di riabilitazione per curare la sua dipendenza. Di che tipo di dipendenza si tratti non è facile a dirsi: in passato aveva fallito i controlli anti-doping della lega per codeina (2013), alcol (2015) e marijuana (2016), l’ultima volta ad aprile di quest’anno. Il 25 luglio sul suo profilo Twitter, il WR aveva scritto:
“I’m blessed and grateful to be granted this opportunity. I can’t wait to get back out there and play the game I love in front of the great fans of Cleveland. I want to thank the NFLPA, Commissioner Goodell, the Haslam family and Browns organization, my agent Drew Rosenhaus, as well as my mentors for their continuous support along the way. I’ve heard only good things from my teammates about the positive direction the organization is heading and I want to do everything I can to be there to help further that process not only for the team but to better myself as well. Thank you.”
La verità è però un’altra. Nonostante la nobile dichiarazione di intenti, varie voci vicine alla lega avevano raccontato di un tentativo da parte dei Browns di scambiare il giocatore già da metà agosto. I tentativi sono poi diventati febbrili negli ultimi giorni, segno ulteriore che qualcosa di grosso bolliva in pentola. Adam Schefter ha dichiarato che il management dei Browns avrebbe chiesto una prima o una seconda scelta per Gordon. Chiaramente nessuno è caduto nel tranello, conoscendo la storia di chi ha sì guidato la lega nel 2013 con 1.646 yard (peraltro in sole 14 partite in una stagione iniziata in ritardo per una prima sospensione per assunzione di sostanze illecite), ma che da dicembre 2014 non ha giocato una singola gara ufficiale NFL. La sua ultima sospensione di quattro partite sarebbe decaduta da questa settimana, ma la decisione di Gordon di entrare in riabilitazione, per quanto benefica per la sua vita, pone un ulteriore freno ad un suo futuro ritorno sui campi da football. Non è un’assurdità ipotizzare che la decisione di Gordon sia anche stata dettata dalla consapevolezza di essere sul punto di saltare l’ennesimo controllo anti-doping. Pare che i Browns non intendano sopportare oltre e si dice che il taglio del giocatore sia ormai imminente. La sola battaglia che resta a Gordon sembra essere quella di sopravvivere.
MVProf