7 a settimana – NFL week 2
Ogni settimana tratteremo sette spunti di riflessione più o meno seri donatici dalla National Football League
SUSHI DI DELFINO – Nessuno si aspettava che Ryan Tannehill e i suoi Miami Dolphins marciassero sui resti dei New England Patriots, ancora privi di Brady e Gronk, ma di sicuro la banda di Adam Gase aveva la migliore opportunità da anni a questa parte di sbancare Foxborough. Neanche il tempo di allacciarsi gli scarpini e siamo già 31-3. I Pats non chiedono per favore e si prendono tutto quello che Miami può umanamente concedere. A cambiare la partita ci pensa Kiko Alonso, che livella Jimmy Garoppolo e gli causa un serio infortunio alla spalla che lo costringe al forfeit. I ‘Fins arrivano fino al 31-24 palla in mano, ma senza arrivare a punti. La non-difesa nell’ultimo quarto e la gestione rivedibile del cronometro fanno il resto. Incredibile come giocare contro il terzo QB di una squadra, sapendo quindi che LaGarrette Blount correrà a tutto spiano, non permetta ai tonni di mettere un freno alle scorribande del nerboruto ex-Steeler. Ah, non preoccupatevi troppo per Bill Belichick: quasi certamente giovedì contro Houston anche Jacoby Brissett sfornerà una solida prestazione. Dovesse a sua volta essere messo KO da JJ Watt, date in mano una palla al magazziniere e anche lui avrà successo. Sì, però non quello che ha sgonfiato i palloni, per carità. Dopotutto, nel bene e nel male, parliamo dei Patriots…
Roulette – Esiste qualcosa di più ridicolo, incerto, folle e appassionante e insensato della NFC East? L’anno scorso i Washington Redskins hanno vinto la division più per demeriti altrui che per meriti propri, ma la musica è cambiata. I Dallas Cowboys, sbeffeggiati in lungo e in largo nei media americani dopo domenica scorsa, vincono e convincono 27-23 contro i pellerossa, in cui Kirk Cousins resta un grattacapo più per i compagni che per gli avversari. Vedi intercetto finale sanguinoso di Church su third-and-goal dalle 6 yard. Non che i texani non si siano messi d’impegno per perderla, con due fumble di Ezekiel Elliott e il three-and-out di Dak Prescott che con spiccioli sul cronometro ha dato una nuova chance a Washington di arrivare in end zone. Vi assicuro che se l’Hail Mary finale di Capt. Kirk avesse avuto successo, Jerry Jones non avrebbe avuto alternative se non cambiare nome e città, suo e della squadra. Non so loro, ma se io fossi un Cowboy prima di festeggiare aspetterei non solo la fine del drive, non solo la fine della partita, ma proprio anche le analisi antidoping e il giudice sportivo – minimo.
VITE PARALLELE – Le vite di Browns e Cowboys corrono su binari paralleli più di quanto una rapida occhiata potrebbe dire. Le premesse sono totalmente agli antipodi: una squadra di periferia senza storia recente e una mega-corazzata considerata da molti America’s Team. Quello che li accomuna, però, è l’etichetta di perdenti. E non è un’etichetta da poco. Settimana scorsa si era detto dei Cowboys in controllo che si sono sciolti, domenica è toccato ai Cleveland Browns il nobile compito di continuare la tradizione di futilità. Contro i Baltimore Ravens, riescono nell’impresa titanica di dilapidare 20 punti, peraltro messi a referto in soli 10 minuti del primo quarto (25-20). Che le cose cominciassero a scricchiolare lo si è intuito dall’extra point bloccato e ritornato per i primi due punticini della partita dei corvi. Mentre Justin Tucker non tradisce dalla lunga, dall’altro lato del campo il disastro è completato in due momenti. Prima una stupida (quanto inventata) penalità ai danni di Terrelle Pryor sulle di 10 di Baltimore che annulla la ricezione, e infine l’Hail Mary lanciato in triple coverage da un acciaccato McCown. Proprio a causa della botta subita, il back-up di RGIII è già stato dichiarato fuori causa per la partita fra scapoli e ammogliati di settimana prossima contro i Dolphins. E siamo a due QB bruciati in due domeniche. Ecco, ieri c’è stata anche la cerimonia per l’inaugurazione della statua a Jim Brown, ma una statua alla madonna sarebbe forse stata più opportuna. E no, firmare Clipboard Jesus non vale come compromesso al patto divino.
LE ISOLE – Ora che l’estate volge al termine, le vacanze sono ormai finite e i luoghi di villeggiatura ormai si svuotano. Alcuni turisti coraggiosi partono ancora per Nantucket e Martha’s Vineyard, ma l’isola più frequentata degli ultimi weekend resta quella di Darrelle Revis. Dopo essersi popolata di tigri (Bengals) e bisonti (Bills), venire sverniciato anche dai Chiefs sarebbe materia da ritiro immediato. Mentre quella di Revis lentamente affonda, si scorge all’orizzonte una nuova formazione di terra, chiamata da qualche coraggioso Norman island. Diventato il più ricco cornerback della lega dopo un divorzio inaspettato coi Panthers, Josh Norman si è trovato al centro di grandi critiche per non aver coperto Antonio Brown settimana scorsa. Anche domenica Norman non è stato mandato sulle tracce del WR più forte degli avversari, ovvero Dez Bryant, ma tenuto nella sua zona di competenza. Pare che il defensive coordinator dei Redskins voglia continuare a dare fiducia a Bashaud Breeland da un lato e al contempo formare l’isola di Norman, isolando contro di lui un singolo ricevitore e di fatto assicurandosi di dirigere il traffico aereo sull’altro lato del campo. Di per sé l’idea non è nemmeno irrazionale, se non fosse per una pecca non da poco. Dirottare il tuo CB più forte su un WR secondario significa avere un matchup sfavorevole sull’altro lato del campo e finora i danni non sembrano arginabili nel breve termine. Inoltre, pagare un defensive back $75M e non volerne usufruire appieno è davvero una mossa poco lungimirante.
MONTONI MONTATI – I Los Angeles Rams che battono i Seattle Seahawks (9-3) non è di per sé una notizia bomba, avendo i Rams vinto quattro degli ultimi cinque scontri divisionali diretti. La notizia, semmai, è che l’attacco degli ‘Hawks stenta malamente, seppur con la giustificazione di una caviglia di Russell Wilson assai malconcia dopo la partita di domenica scorsa, circostanza che lo rende un pocket passer normale con ricevitori già di loro normali. Certo è che Seattle ha prima fatto fare un figurone alla maldestra difesa di Miami, poi è riuscita a perdere contro una squadra rimasta a secco totale contro i Niners e che ancora deve produrre un TD che sia uno. Diciamo che se il pubblico losangeleno si aspettava uno spettacolo pirotecnico come quello dello Showtime giallo-viola, le aspettative vanno ridimensionate. La prossima partita contro i Bucs non sembra proibitiva, anche in virtù di un Jameis Winston che viene da 4 intercetti in parallelo alla gran prestazione di Mariota – ma che proprio per quello avrà il dente avvelenato. Seattle ha fin qui prodotto 15 punti in due partite totali, contro i 48 dello scorso anno. Se non altro, possono consolarsi sapendo che allora il numero maggiore di punti non portò necessariamente a risultati migliori, visto lo 0-2 iniziale. Settimana prossima saranno in visita ai 49ers: perdere un altro scontro divisionale potrebbe far ricredere chi vedeva la squadra di coach Pete Carroll come lock per la finale di NFC.
MONEY IN THE (US) BANK – Il nuovo stadio da oltre un miliardo porta bene ai Minnesota Vikings che sconfiggono i rivali Green Bay Packers 17-14 al debutto casalingo. I vichinghi riscoprono nei primi minuti le proprie ataviche ferite, su tutte una secondaria fragile e una O-line diciamo porosetta, tanto in protezione quanto su corsa (Matt Kalil continua a dimostrarsi più facile da sfondare di una bionda alticcia al party di una confraternita). Le statistiche a metà partita sono materia di studio per la CIA, per via delle 187 yard totali di Minnesota. Ora, con Sam Bradford al debutto in un nuovo sistema e un Adrian Peterson storicamente straripante contro i Packs, alzi la mano chi avrebbe pensato che questi numeri sarebbero stati tutto merito di AD e colpa del braccino di Bradford. Tirate giù quelle mani! La realtà dei fatti racconta che quelle cifre erano suddivise fra le 175 del QB e le 12 di Peterson, raccolte in nove corse. Bradford ha continuato le sue magie nel secondo tempo, supportato da un Stefon Diggs che sembrava la reincarnazione di Chris Carter. Il secondo anno da Maryland pare destinato a ricalcare le fresche orme di Jarvis Landry, che, dopo una solida compagna da rookie, nel secondo anno è esploso definitivamente. Coach Zimmer sembra davvero aver preso il numero di targa di Aaron Rodgers, che anche per i 5 sack subiti, genera solo 213 yard, di cui 50 irrisorie yard a referto nella prima mezz’ora di gara. Ora che non ci sono più le scuse del freddo di Minneapolis e dell’assenza di Jordy Nelson, sarà interessante vedere che scuse accamperanno per il loro QB le teste formaggiose. Sarebbero tutti frizzi e lazzi per i viola, se Peterson non fosse uscito dallo stadio in stampelle, ma ora più che mai va ribadito: in Zimmer we trust!
FANTAFOOTBALL – Come Lazzaro, il mio team si è alzato dal sepolcro in cui era finito settimana scorsa e ha sbaragliato la concorrenza, nonostante una produzione prossima allo zero dei miei RB. Quando segni più del doppio dei punti messi a referto la settimana prima capisci che il tuo team ha tutte le carte in regola per farti venire un mal di testa lungo 16 settimane.
MVProf