Analisi ai raggi X della rissa allo Staples

Tutti i retroscena della scazzottata di sabato fra Lakers e Rockets

In NBA le risse sono ormai diventate una rarità. Sono lontani gli anni ’80 e ’90 della clothesline di Kevin McHale a Kurt Rambis o della ripassata di Robert Parish al ruvido Bill Laimbeer. Per non parlare delle innumerevoli baruffe con protagonista Charles Oakley, a cui anche passati i 50 anni è rimasto un carattere fumantino. Il canto del cigno risale al 2004, quando il Malice at the Palace creò un precedente mai più anche solo sfiorato in questo secolo, sia in quanto a scazzottate che relative punizioni. È quindi con un misto di sorpresa e malcelato compiacimento che molti fan hanno accolto la rissa di sabato scorso allo Staples Center nell’incontro fra Los Angeles Lakers e Houston Rockets. Intendiamoci, nessuno è finito all’ospedale e nemmeno dal dentista.

Tuttavia, dai tempi della presidenza Bush veder sferrare veri e propri pugni su un parquet NBA è di per sé un evento. E come tale va analizzato nei dettagli. Dopo la sconfitta a Portland, i Lakers tornavano a casa per il tanto atteso debutto hollywoodiano di LeBron James in giallo-viola. A loro volta, i Rockets erano reduci dalla batosta casalinga contro i Pelicans nell’opener e si presentavano quindi allo Staples con pochissima voglia di fare da sparring partner a LBJ per i flash dei fotografi. La partita arriva punto a punto fino all’ultimo e decisivo quarto. Siamo sul 108-109 a 5’15” dal termine quando James Harden entra con la moto nel pitturato in penetrazione, come suo solito cercando fallo e tiri liberi. Ed è qui che si verifica l’origine della rissa, che ora osserviamo scomponendola attraverso i suoi punti principali.

BRANDON INGRAM

Torniamo quindi all’azione del Barba, che segna dopo il fischio arbitrale, ma tenta ugualmente di perorare la propria causa alla ricerca di un and-1. Brandon Ingram, autore del fallo, non la prende bene e lo spinge via a due mani. L’MVP non reagisce, ma si limita a guardare stupito l’arbitro Jason Phillips che subito affibbia un sacrosanto tecnico all’ex Duke. Questi però è già chiaramente in modalità Berserker e si mette a muso duro anche con l’esperto arbitro, tanto che devono intervenire prima Lance Stephenson (!) e poi Lonzo Ball per portarlo lontano e calmarlo. Mentre cammina visibilmente contrariato verso la metà campo, Ingram resta con gli occhi in zona pitturato per seguire il capannello di giocatori e arbitri creatosi. Non appena vede che la tensione sale e volano i primi pugni, scatta verso il canestro e da dietro sferra un pugno con le sue braccia smisurate degne di Cappello di paglia di One Piece. Per fortuna di tutti, le nocche colpiscono per lo più l’aria.

CHRIS PAUL

Inizialmente, Chris Paul non è coinvolto nella Chris Paul LeBron James rissabaruffa, ma vi orbita attorno come parte interessata. Piano piano però viene attratto all’interno e ne diventa l’epicentro. CP3 si trova a muso duro con Rajon Rondo e gli mette un dito in faccia con tono accusatorio. Lascia però colpevolmente la guardia abbassata e si prende un paio di pugni in piena faccia, di cui il primo dritto sul muso e senza appello. Smaltito l’effetto sorpresa, CP3 contrattacca connettendo anche lui in faccia a Rondo, specie con un uppercut velenoso che causa un taglio sopra l’occhio all’avversario. Fra Paul e i Lakers si conferma la difficile convivenza. Dopo il veto alla trade ai giallo-viola da parte di David Stern nel 2011, il play ha trascorso sei stagioni ai rivali cittadini dei Los Angeles Clippers, peraltro nel momento più nero della storia dei cugini Lakers. Solo lo scorso anno, al ritorno a LA come membro dei Rockets, CP3 si era fatto strada all’interno dello spogliatoio avversario percorrendo un tunnel nascosto con una spedizione punitiva.

RAJON RONDO

Terzo indiziato e uomo chiave della vicenda è però Rondo. L’ex Celtics all’inizio sembrava chiaramente nella parte del giusto, legittimato a reagire con le maniere forti a un gesto inconsulto di Paul. Ma poi con un lavoro di indagine migliore di quello portato avanti dal governo USA per il caso Jamal Khashoggi, gli investigatori di NBA Twitter hanno rallentato e ingrandito i filmati, scoprendo il vero casus belli. Rondo avrebbe sputato in faccia a Paul che quindi, infastidito, ha messo le mani in faccia all’avversario. Dargli il beneficio del dubbio vuol dire fare gli avvocati del diavolo, viste le storie tese esistenti fra i due non solo in partita, ma addirittura da ormai un decennio. Al centro del dibattito, la contesa per lo scettro di miglior play puro di questo inizio di secolo. Peraltro, da notare che Rondo, incitato a gran voce dal pubblico come un novello Oscar De La Hoya, ha sferrato i primi due pugni di mancina – la mano debole – proteggendo così la preziosa destra in caso di frattura.

SPETTATORI (PAGANTI E NON)

Facciamo quindi una carrellata dei pezzi di contorno a questo episodio. Partendo con Harden, indirettamente la miccia che accende la disputa, ma del tutto periferico alla rissa. Sono lontani i tempi in cui l’MVP Michael Jordan prendeva a pugni i giocatori. Anzi, i compagni di squadra. Passiamo a Carmelo Anthony, ancora corpo estraneo all’attacco dei razzi e deludente in partita con un modesto 3 su 10 dal campo. I primi rilevanti dei RIS di Twitter avevano imputato a ‘Melo un possibile sputo involontario, un fuoco amico poi smentito dalle immagini. Gli hater di LeBron hanno poi trovato come sempre un escamotage per criticare King James, colpevole a loro dire di aver preso da parte CP3 invece che prendere le difese dei compagni di squadra. Peccato che Paul, oltre che amico di Banana Boat, sia il patrigno di Bronny e quindi letteralmente uno della famiglia per LeBron. Infine una nota sul pubblico, fra cui le immagini hanno scovato un divertito Floyd Mayweather esaltato dalla rissa. Anche perché, come dicono i maligni, nei suoi match ci sono molti meno pugni.

PRECEDENTE

Nonostante il riverbero nei circoli NBA, quella di sabato è solo la seconda rissa più famosa avvenuta fra Lakers Rudy Tomjanovic pugnoe Rockets. Il precedente assai più infausto risale a più di quarant’anni fa, più precisamente al 9 dicembre 1977. Da un parapiglia a centrocampo che coinvolse il grande Kareem Abdul-Jabbar, Rudy Tomjanovich fu steso da Kermit Washington con pugno in piena faccia che gli fratturò il cranio e lo mise in pericolo di vita. I presenti quella sera al Forum dichiararono che il suono che sentirono fu quello di un melone che si spappola cadendo a terra. L’episodio fu così grave da spingere l’implementazione di un terzo arbitro sul parquet, col compito di seguire l’azione da dietro e fermare immediatamente eventuali strascichi provenienti da quella precedente.

FINALE

Nell’immediato, Rondo, Ingram e Paul sono stati espulsi e i Rockets hanno poi vinto la partita 124 a 115, riportando così in parità il proprio record stagionale. Poche ore dopo è arrivata la sentenza da parte della lega per mano di Kiki Vandeweghe, peraltro presente quella sera allo Staples. Due giornate di squalifica per Paul, tre per Rondo e quattro per Ingram, nonostante per quest’ultimo in molti prevedessero una punizione ben più salata. D’Antoni ha commentato la notizia con un misto di delusione e sarcasmo: “I’m glad they didn’t suspend Boris Diaw again.” Riferimento poco sibillino ad un’altra baruffa, ovvero quella del 2007 fra i suoi Suns e gli Spurs che, per quanto lieve, forse costò a Phoenix il titolo. Un altro aiuto della lega ai poteri forti, stavolta rappresentati dai Lakers? Impossibile dirlo con certezza, ma ancora una volta il non-più-baffuto Mike pare trovarsi suo malgrado dalla parte sbagliata della storia.

MVProf

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