Non c’è peggior sordo…
Rilettura onesta della nuova policy NFL
Mamma Mia! Here we go again. No, non si tratta del nuovo film con le canzoni degli ABBA. È la reazione, in un misto tra rabbia e rassegnazione, all’ennesima polemica riguardante la Casa Bianca, i giocatori NFL e la lega. L’inizio risale ormai a quasi due anni fa con Colin Kaepernick, mentre l’ultimo aggiornamento è di poche settimane fa. In maggio, la lega dello scudo aveva diffuso un nuovo regolamento circa il comportamento da tenere da giocatori, allenatori e staff durante l’esecuzione dell’inno prima delle partite. La decisione era apparsa fin da subito smaccatamente unilaterale e assai distante da una soluzione adeguata al problema. A riprova di ciò, la dirigenza dei Miami Dolphins Stephen Ross avrebbe scelto di rendere la vita per i “ribelli” davvero dura. Il Miami Herald ha infatti riportato indiscrezioni circa un tentativo di implementare un regolamento interno che prevederebbe una sospensione di ben 4 partite per chi protesta durante l’inno. Una presa di posizione così forte basata su un regolamento così debole ha fatto scattare la pronta sospensione del regolamento stesso dopo nemmeno due mesi e ancora prima del battesimo del campo.
Anche il Presidente USA Donald Trump ha espresso la sua opinione a riguardo con un tweet. “Chi protesta una volta, fuori dalla partita. Chi lo fa una seconda, fuori per tutta la stagione senza paga.” La polemica deve essergli sembrata una boccata d’ossigeno per deviare l’attenzione dalla serie di L accumulate sul campo negli ultimi mesi contro Nord Corea, Inghilterra, Russia e il suo stesso Dipartimento di Giustizia. L’ex conduttore di The Apprentice ha anche erroneamente indicato come obbligatorio per contratto che i giocatori restino in piedi durante l’inno, quando invece è noto che il CBA non menziona nulla di tutto ciò. Una presa di posizione drastica e francamente ironica da parte di chi è stato inquadrato masticare a stento sia le parole dello Star–Spangled Banner sia quelle di God Bless America in situazioni distinte. Tutto ai limiti dell’assurdo? Forse una volta, ma non è niente di nuovo per un presidente che è solito usare Twitter per mettere al bando transgender, immigrati e qualunque forma di oppositori politici e non.
Un altro avvenimento di questa offseason si presta come paragone ideale per giudicare l’operato della NFL. Poco tempo fa Jameis Winston, QB dei Tampa Bay Buccaneers, è finito nell’occhio del ciclone per una presunta aggressione sessuale nei confronti di una Uber driver. L’aggressione rimarrà presunta perché la donna non ha sporto denuncia e la lega ha scelto di non indagare oltre. Tuttavia, il fatto quella sera fosse ubriaco alle 2 di notte e ammetta di non ricordare i fatti in questione non portano a dargli il beneficio del dubbio. Ancor di più poiché il giocatore non è nuovo a quel tipo di guai, vista la denuncia di stupro ai tempi del college. La presunzione di innocenza resta una pietra miliare di ogni paese con un sistema giuridico evoluto e non è certo la volontà di quest’articolo sostituirsi ad esso. Attenzione, però. L’NFL ha più volte dimostrato di essere un organismo in grado di condurre indagini indipendenti da quelle ufficiali, come dimostra la recente vicenda di Ezekiel Elliott. Ciononostante, non solo la lega ha deciso di non indagare Winston oltre, ma gli ha addirittura abbuonato il 50% della punizione prevista dal proprio regolamento, passando senza spiegazioni da 6 a 3 partite di sospensione.
Come conciliare in maniera razionale il fatto che la violenza contro le donne venga trattata con tanta superficialità, mentre la libera espressione del Primo Emendamento venga osteggiata come il più odioso dei crimini? Sebbene all’apparenza sembri di paragonare mele e arance, si tratta di due fattispecie che la stessa azienda ha deciso di regolamentare e di punire, per quanto lo stia facendo in maniera totalmente contraddittoria, fallace e inconsistente. La ragione è che le donne costituiscono una minoranza della fanbase NFL che, come rilevato da Reuters, è composta al 64% da maschi bianchi e al 51% da persone di 45 anni o più. In altre parole, le stesse fasce demografiche da cui il candidato Trump ha ricevuto il maggiore consenso durante le elezioni. A loro, le questioni legate al patriottismo destano il maggiore interesse e sembrano più propensi a boicottare l’NFL se queste situazioni non verranno risolte. Sono invece meno interessati a protestare una lega che non punisce in maniera chi si macchia di violenza domestica, abuso di sostanze o peggio.
È tempo di tirare giù la maschera. Inutile scrivere un regolamento che tenti di mascherare le vere intenzioni attraverso belle parole come giustizia e unità. Dopotutto, come aspettarsi che un gruppo di proprietari al 3% non-bianco possa legiferare in maniera equa nei confronti di una totalità di giocatori afro-americana oltre il 70%? Allora, gratis e senza indugio, lo riscriviamo noi il regolamento.
MVProf