Dalla Cina con… valore
Un forte vento da est sta cambiando il mondo (del calcio e non)
Il precedente articolo sulle squadre milanesi ha dato la possibilità di una rapida analisi delle uniche due società di Serie A che sono (finora) in mani asiatiche. La partita poi giocatasi fra le due si è conclusa con un pirotecnico 2-2 e ha senza dubbio esportato verso est un quadro iper realistico della realtà del calcio italiano. In ordine sparso, l’atmosfera carica di elettricità di un derby cittadino di lunghissimo corso, lo stato attuale di grande mediocrità tecnica delle milanesi, le emozioni di un gol al 97′ contro la propria arci-nemesi e gli inevitabili strascichi polemici in direzione dell’arbitro. Tutte cose italiane tanto quanto pizza, pasta e mandolino… Nonostante i limiti fisiologici di entrambe le squadre, sicuramente il match è stato il migliore spot possibile per i nostri nuovi amici dell’estremo oriente. Cosa che, in quanto businessmen, stava sicuramente a cuore ai proprietari di Milan e Inter. Allo stadio erano presenti sia il figlio del presidente nerazzuro Zhang Jindong, Steven Zhang, sia il neo presidente rossonero Yonghong Li, quest’ultimo certamente il più soddisfatto dei due dall’esito della gara. L’orario favorevole a quasi tutte le latitudini (un po’ meno per gli USA, a dire il vero) ha attirato quasi un miliardo di potenziali spettatori, di cui più della metà residenti nei territori asiatici. E a proposito di televisioni, sarà interessante vedere come l’entrata dei cinesi in Lega influenzerà la ripartizione dei diritti tv futuri della Serie A, anche in virtù della duratura litigiosità fra le grandi e le piccole squadre. Da anni questi dissensi hanno azzoppato il mercato dei diritti tv e fatto perdere miglia nei confronti di Premier League e Liga spagnola.
Questa partita è un ottimo punto di partenza per fare un breve raffronto sull’attuale situazione anche delle altre presidenze italiane in mano italiana – e non solo quelle calcistiche. Pensate a presidenti come Ferrero (Samp), Preziosi (Genoa), Lotito (Lazio) o i Della Valle (Fiorentina), senza contare personaggi ormai defilatisi come Zamparini (Palermo), Spinelli (Livorno) e Cellino (Cagliari) o i Sensi (Roma). Chi prima, chi poi tutti loro si sono trovati contestati dalle rispettive piazze, senza contare gli svariati magheggi portati avanti per il proprio tornaconto personale e non certo per quello societario. Ad esempio, Ferrero negli ultimi due anni ha venduto tutti i prezzi più pregiati, passandola franca agli occhi dei media grazie alla sua personalità istrionica. La tifoseria laziale è da tempo immemore in aperta contestazione con Lotito, mentre sappiamo tutti degli intrallazzi di Preziosi, fra valigette sospette e torbidi favori ad Adriano Galliani. Eppure anche il più grande contestatore di “Lotirchio” storcerebbe il naso a vederlo rimpiazzato da un Sung Yi a caso, la cui squadra tenterebbe di conquistare un posto in Europa ai danni del Genoa di Zao Meng o della Sampdoria di Wang Pang. Ma siamo sicuri che “si stava meglio quando si stava peggio?”
Siamo onesti: oltre che a livello di romanticismo, questa ondata proveniente da est brucia negli animi degli italiani, non solo popolo di santi, poeti e navigatori, ma anche di inventori e imprenditori che diffondevano le eccellenze Made in Italy in tutto il mondo. Almeno una volta. Oggi la colonizzazione arriva in senso inverso, con buona pace degli innumerevoli viaggiatori italiani che nei secoli hanno esportato la cultura nostrana nel mondo, specie sulla via della seta. Ma questo non riguarda solo il calcio nostrano ed europeo, anzi. Il calcio per gli imprenditori asiatici non è altro che uno specchietto per le allodole, un modo di entrare nel mercato dei diversi paesi europei e esportare i propri business che vanno ben oltre l’avere undici uomini in pantaloncini che corrono dietro ad una palla. Il già citato Jindong ha fondato e presiede il Suning Commerce Group, società di vendita al dettaglio di svariati prodotti, dagli elettrodomestici ai cosmetici. Il loro fatturato del solo 2015 si aggira sui 46 miliardi di dollari e l’utile netto è di poco inferiore ai 20 miliardi (fonte Panorama). Oltre a possedere la squadra della sua città, lo Jiangsu Suning, Jindong ha trovato sede nella Silicon Valley, investito nella popolare tv online PPTV, e in aziende come Citicall, Laox e Red Baby. A fronte di un patrimonio personale che si aggira sui 4 miliardi di dollari, un investimento di €270M nell’Inter non è nulla più che un modo per diversificare i propri affari. Curiosamente, lo stesso sponsor dell’Inter, Pirelli, è stato acquisito nel 2015 dal Marco Polo Industrial Holding, azienda cinese. Insomma, Marco Polo è riemerso dalle ceneri con fattezze orientali e ora sta tornando a conquistare noi, dal Milione su carta ai milioni in contanti. Battute a parte, anche altre eccellenze italiane come Fiat, Telecom, Eni, Ferretti e Fiorucci sono state, in parte o per intero, rilevate da imprenditori cinesi.
E questo deve fare riflettere. Il calcio italiano, come anche molte delle aziende citate, ha avuto il suo periodo di massimo splendore fra gli anni ’80 e ’90, quando squadre come il Milan o la Juve spadroneggiavano in ambito nazionale e internazionale, e i migliori campioni sarebbero venuti a piedi pur di giocare in Serie A. Come prerogativa tristemente nota di noi italici, col bel tempo tendiamo a comportarci come la balda cicala invece che come la laboriosa formica, con la differenza che nella favola di Esopo l’insetto canterino non contraeva debiti miliardari con le banche. Uno dei più grandi difetti degli italiani è infatti quello di non curarsi troppo del futuro, ammirando le rovine dei romani con orgoglio, ma senza la consapevolezza che anche loro, un po’ come noi, si credevano immortali. Allora ben venga la pacifica invasione orientale da parte di chi, lontano dai riflettori, nel giro di poche generazioni ha creato imperi finanziari dal nulla, mentre noi scialacquavamo il nostro. Nel migliore dei casi, il loro trattamento più virtuoso in ambito finanziario potrà istruire le generazioni italiane future, meno orgogliose di difendere il proprio retaggio italico e più aperte al contatto col diverso. È tempo anche per noi di accettare una lezione da chi ne sa di più e non rimpiangere chi, fra sorrisi e frasi in italiano (o latino) ha eroso il patrimonio storico, economico e culturale del calcio italiano. Con buona pace di Mario Rossi, è ora il turno di Wang Wei di insegnarci qualcosa. Certo, nel mentre dovremmo noi tutti rinunciare ad una parte di cuore, quel senso romantico del calcio che fu, ma state tranquilli anche domani i bar saranno aperti e fra un briscola e l’altra gli anziani si lamenteranno come prima di quanto sia un patàca quel mister che gioca col 4-3-3 invece che col 4-4-2.
MVProf