La storia del Malice at the Palace
Sono passati 12 anni dalla scazzottata che sconvolse per sempre l’NBA
Di fronte a circa 22mila fan si giocava nella periferia del Michigan una delle prime gare della stagione NBA 2004-05. Lo scontro fra Detroit Pistons e Indiana Pacers era già un match di cartello fra due superpotenze dell’Eastern Conference. L’astio era nell’aria. I Pacers erano infatti in cerca di rivincita, dopo che l’anno precedente i Pistons li avevano eliminati in sei gare nelle finali ad est, per poi laurearsi campioni NBA ai danni dei Lakers. Indiana aveva tutte le carte per giocarsi un’altra chance per il titolo e Detroit era nuovamente sulla loro strada. La partita arrivò alle fasi conclusivi senza particolari sussulti. Anzi, si prospettava una comoda vittoria ospite, anche se nessuna squadra aveva tirato i remi in barca, coi titolari ancora sul parquet. Il punteggio era 82-97 per i Pacers a 45.9 secondi dalla fine. Quella sera, il cronometro non scoccò un solo secondo in più.
Ben Wallace riceve in post spalle a canestro, si gira e va per l’appoggio facile a canestro, ma Ron Artest è di diverso avviso. Pur di non concedere un canestro tanto agevole quanto inutile colpisce Big Ben con l’avambraccio sulla testa. Il fallo non è eccessivamente duro, più stupido che violento. Wallace dal canto suo la prende malissimo e spinge Artest a due mani con forza, facendolo indietreggiare di diversi metri. I giocatori di entrambe le squadre vengono a contatto: mentre l’altro Wallace, Rasheed, tenta di fare da pacere (!) da una parte, dall’altro latodella mischia Stephen Jackson sfida apertamente Rip Hamilton a singolar tenzone mettendosi in posizione pugilistica con la guardia alta. Nessuno coglie l’invito e la rissa si spegne in fretta. O almeno così pare.
Per isolarsi dal mucchio e calmarsi, Artest si sdraia sul tavolo dei commentatori e si infila le cuffie per parlare con gli analisti dall’altra parte del cavo. Ma più che parlare con altre persone, avrebbe dovuto parlare coi suoi demoni interiori. Perché di lì a poco si sarebbe scritta una pagina indelebile di storia: quella personale di Artest, quella dei Pacers e dell’intera NBA. Mentre Reggie Miller cerca di calmare Artest, un bicchiere mezzo vuoto di Coca Light lanciato per sfida da uno spettatore di nome John Green colpisce in pieno petto Artest. Come testimoniato dallo stesso Miller, in quel preciso istante egli vide Artest passare da Bruce Banner all’Incredibile Hulk. Assatanato come non mai, Artest si lancia sugli spalti in cerca di vendetta con furia cieca. Talmente cieca, che colpisce per errore un altro uomo, Michael Ryan, che egli riteneva responsabile del lancio.
A quel punto è il caos. Stephen Jackson segue il compagno sugli spalti e comincia selvaggiamente a picchiare chiunque gli si pari di fronte. Nel mentre, alcuni fan si riversano sul campo, ma mal gliene incoglie. Ad attenderli trovano Jermaine O’Neal, che dai suoi due metri e undici li stende come birilli e per poco non fa finire la rissa in tragedia. Gli arbitri non possono che fischiare la fine in anticipo. Il pubblico fischia fragorosamente, le donne guardano inorridite e i bambini piangono. I giocatori dei Pacers vengono trascinati negli spogliatoi dal coaching staff, e nel tragitto vengono fatti oggetto di lancio di birra, popcorn e perfino una sedia. I presenti coinvolti loro malgrado attestano che quel giorno ebbero la sensazione di dover lottare per la propria vita per uscire interi dal Palace. Artest, in chiaro stato di trance, chiede a Jackson negli spogliatoi: “Pensi che finiremo nei guai?” Replica di Jackson: “Saremo fortunati se domani avremo ancora un lavoro.”
Quello che segue il cosiddetto Malice at the Palace è quasi un bollettino di guerra: nove spettatori feriti, di cui due finiti all’ospedale, cinque fan banditi a vita dall’arena e accusati di aggressione e percosse. Stessa sorte per altri cinque giocatori, che evitano la galera con la condizionale. La punizione del commissioner David Stern è di quelle che fanno giurisprudenza. Nove giocatori sospesi per un totale di 146 partite e circa $11M di stipendi andati in fumo. Chi fu colpito più duramente fu Artest (86 partite), seguito da Jackson (30 partite), O’Neal (15 partite) e Ben Wallace (6 partite). Diversi giocatori furono sospesi una gara per aver lasciato le rispettive panchine, con l’eccezione di Tayshaun Prince, unico a rimanere al suo posto. Il provvedimento, peraltro, era entrato in vigore esattamente 10 anni prima come conseguenza di un’altra rissa, stavolta al Madison Square Garden.
Nonostante la severità delle sanzioni imposte da Stern, c’è chi sostiene che colui il quale pagò il prezzo più salato fu Reggie Miller. L’HOFer era alla sua ultima stagione NBA e sperava di raggiungere quel titolo NBA che i Bulls di Jordan gli avevano sempre precluso. Le carriere di molti dei giocatori coinvolti subirono un profondo cambiamento. Di lì a poco il team dei Pacers venne smantellato, con Jackson finito a Golden State, JO a Toronto e Artest a Sacramento. Su quest’ultimo ci sarebbe materiale per un’enciclopedia monotematica. Di lui si possono dire tante cose: dal folle Ron Artest scaturirono personalità multiple, come il più temperato Metta World Peace e il giocondo Panda’s Friend. Ma la storia lo assocerà sempre a questi attimi di follia generale. Anche dopo più di un decennio, la memoria della rissa del Palace resta indelebile nella memoria di tutti i fan.
MVProf