7 a settimana – week 13
Ogni settimana tratteremo sette spunti di riflessione più o meno seri donatici dalla National Football League
CAPORETTO, MA A CAPO RETTO – Il tacchino è come il football: bello da vedere, saporito e pieno di contorni ad esaltarne il gusto – e in quantità eccessive causa sonnolenza. Ci eravamo lasciati giovedì scorso con piatti sporchi e avanzi di cibo del Ringraziamento del frigo per almeno una settimana, ma soprattutto con i Dallas Cowboys vincenti e i Minnesota Vikings perdenti. E proprio come dopo una settimana le tonnellate di avanzi impongono di mangiare lo stesso piatto a oltranza, anche il copione delle due squadre è rimasto lo stesso: Dallas vince ancora e Minnie perde ancora. Ma non come era forse lecito attendersi. Nel Thursday Night nel nord del paese si sono scontrati il miglior attacco per differenza punti (+105!) e la seconda migliore difesa (17,4 punti concessi a partita), che ha di molto limitato il potenziale offensivo dei texani. La difesa vichinga toglie le soluzioni facili a Dak Prescott, abile nel correre per conquistare yard, ma meno nel trovare falle nella secondaria avversaria, e soffoca sul nascere le corse di Ezekiel Elliott, comunque lesto a segnare il 12° TD della stagione. Dallas viene costretta a ben 6 punt, che però i Vikes convertono in punti solo coi calci di Forbath (ma, di questi tempi, è grasso che cola). Si va al 4° quarto sul 9-7. I Cowboys ridanno nuovamente palla a Minnie, però Thielen che si fa sgusciare di mano il pallone all’interno delle proprie 10 yard. Sfortuna, anche perché il punt returner titolare, Marcus Sherels, è fuori per infortunio (ma va!). Basta uno snap a Dez Bryant per entrare fra i marcatori, seguito da Bailey, PAT e poi FG. Sotto di 8 e con 2′ sul cronometro, quando nessuno crede che Sam Bradford possa centrare la rimonta, un disperato drive vichingo macina il campo e manda McKinnon in touchdown con 25″ da giocare. Per il pareggio serve la conversione da due punti. Qua Minnie ci dimostra perché non è il suo anno: prima Sirles fa false start, allontanando di 5 yard il pallone, poi gli arbitri mancano un colossale fallo personale su Bradford, colpito in faccia del DT Cowboy Cedric Thornton – ma l’arbitro fa spallucce. Finisce 17-15. Pur con Dak e Zeke tenuti uno a 139 yard e l’altro a meno di 90 per la prima volta da week 2, pur con i Vikes a dominare il possesso della palla (33′ a 27′), pur assicurandosi la lotta dei turnover 2 a 1, pur con la D-line vichinga ad avere la meglio sulla mastodontica O-line texana (tre fumble forzati)… ecco, pur vincendo tante piccole-grandi battaglie, la guerra va ai Cowboys. Complimenti a loro, dopotutto chi vince ha sempre ragione.
NELLA BUONA E NELLA CATTIVA SORTE – Come da programma, dopo sei vittorie consecutive a testa, cadono all’unisono sia i New York Giants che i Miami Dolphins. I primi, sì reduci da un’ottima striscia vincente, ma pur sempre contro squadre con record perdenti in cinque casi su sei, non hanno offerto grossa resistenza ai Pittsburgh Steelers (24-14). La partita si mette subito male per i Big Blue con un safety del bistrattato LT Flowers, prima scelta dei Giants al Draft 2015, ma finora terreno di conquista per chiunque, anche per un James Harrison che pure sulla patente riporta anni 38, contro i 22 di Flowers. Contribuiscono – ma alla disfatta – Eli Manning, che lancia due intercetti, di cui il classico in red zone, e Odell Beckham Jr, più preoccupato di protestare con gli arbitri che di portare punti alla causa. Miami, dal canto suo, fa una figura ancor più barbina, venendo demolita dai Baltimore Ravens (38-6). Flacco parte a mille, giocando come un dannato e accumula 24 punti in metà partita, grazie ai lanci precisi a Pitta, Smith Sr e Wallace, a dir poco col dente avvelenato, mentre i linebacker dei Dolphins si fanno sforacchiare come spiedini. Dal canto suo, Ryan Tannehill (che nelle ultime sei partite aveva 9 TD a fronte di 1 INT) non riesce a muovere la palla come vorrebbe e colleziona 3 intercetti; ciò si spiega in parte col fatto che la difesa dei corvi sia la migliore della lega nel fermare le corse degli avversari, e rendere Miami monodimensionale è stata la carta vincente. Che cosa concludere dunque, dei destini paralleli di Giants e Dolphins? Le due sono squadre molto simili: entrambe in division già assegnate da settimane (ai Cowboys una e ai Pats l’altra), si ritrovano a lottare per un posto in wild card. Se settimana scorsa erano entrambe presenti, ad oggi solo i Giants lo sono, ma solo perché la NFC è una conference assai molliccia, senza una sola squadra al secondo posto in classifica della rispettiva division con record vincente. Ma il brutale calendario dei Giants (Cowboys, Lions, Eagles, Redskins) suggerisce che né loro né i Dolphins giocheranno dopo il primo di gennaio.
GRONK’S ANATOMY – A un mese dalla fine della stagione regolare, molte sono le squadre ancora in gioco per un posto nei playoff, specie in un’annata mediocre come questa. Ma a questo punto, oltre che al calendario e agli scontri diretti, bisogna buttare un occhio alla propria infermeria. È notizia di settimana scorsa che Rob Gronkowski ha subito un nuovo infortunio alla schiena: operato venerdì, la sua stagione è ormai ufficialmente conclusa. Oltre ai cronici problemi a gomito e ginocchia, quest’anno Gronk ha patito un infortunio al tendine, un polmone perforato e ora l’ernia al disco (L5-S1). Quest’ultima operazione è la terza subita nella carriera del mastodontico TE e, nonostante la ferrea volontà di tornare in campo l’anno prossimo, egli potrebbe prendere decisioni clamorose nei prossimi mesi. E a suo modo clamorosa è stata la reazione a caldo di Earl Thomas, che ricevuti i risultati dei raggia alla gamba infortunata, ha postato sul suo profilo Twitter un messaggio che paventava l’ipotesi di un prematuro ritiro. Ad ogni modo, anche nel suo caso (frattura alla tibia), la stagione è finita. Se per i Pats il danno è contenibile – specialmente in regular season – vista l’ottima intesa dell’asse Brady-Bennett, per gli ‘Hawks la faccenda cambia. Già con un running game sospetto (Michales tagliato, Procise infortunato, Rawls appena rientrat0), ora la Legion Of Boom perde un pezzo da novanta. Detto di New England e Seattle, altri team alla disperata ricerca di un posto al sole dovranno fare i conti con bende e cerotti visti i seguenti recenti infortuni. Denver ha un problema simile a Seattle, coi RB CJ Anderson e Bibbs ormai in IR e il solo rookie Booker a tirare la carretta, un po’ come i Packs senza Lacy e la secondaria incerottata. Gli Steelers sono senza Heyward, mentre i Cowboys forse recupereranno Claiborne. È durato due partite (e 6 yard totali) il ritorno dal ritiro di Percy Harvin, già messo in IR da Buffalo. Gli infortunati di Minnie (cronici: AP, Teddy, Kalil, Long, Smith e saltuari: Berger, Diggs, Sherels, Floyd) costeranno con ogni probabilità la stagione ai vichinghi, così come quelli prematuri hanno condannato da subito i Chargers (Woodhead, Te’o e Allen). Chi si duole dei propri illustri caduti, ma già pianifica il prossimo anno sono Panthers (Kuechly), Bengals (Green e Bernard) e Texans (Watt).
STREAM OF QUARTERBACKNESS – Nella partita fra New England Patriots e Los Angeles Rams Tom Brady andava a caccia della vittoria numero 201 in carriera, che lo avrebbe fatto diventare il QB più vincente della storia. Dall’altra parte del campo, Jared Goff cercava la vittoria numero… 1 in carriera. Continua a cercare, Jared. A cercare, stavolta una nuova casa, è Ryan Fitzpatrick: il suo tempo a New York, sponda Jets, è finito con il 14° intercetto della sua sventurata stagione. Che è comunque uno in meno di quanti non ne abbia lanciati Blake Bortles, di nuovo protagonista contro i Broncos dell’ennesimo pick-6 (l’11° in meno di 50 partite, record NFL) della sua giovane carriera. E chissà che l’ancor più giovane Matt Barkley non possa avere la sua chance coi Bears, dopo aver ben figurato sotto la nevicata di Chicago: ad aver contribuito in negativo, la prestazione di Colin Kaepernick, capace in tre quarti interi di lanciare 1 su 5, subendo più sack che yard lanciate (5 a 4).
UN FISHER FUOR D’ACQUA – Nonostante fosse da molti considerato uno degli indiziati a perdere il proprio posto di lavoro al termine della stagione, coach Jeff Fisher e i Los Angeles Rams prolungheranno il proprio matrimonio, in virtù di una estensione contrattuale di altri due anni, fino al 2018. Le trattative sarebbero state portate avanti in prestagione e verso la fine dell’estate Fisher avrebbe messo nero su bianco la sua firma sul nuovo contratto. Questo spiega perché in tempi non sospetti il COO dei Rams Kevin Demoff avesse usato parole al miele nei confronti del proprio allenatore: “Everybody will want to judge Jeff through the prism of just the record, but that’s totally unfair when you look at the set of circumstances he was handed this year […] To provide leadership and consistency, he’s done a model job.” Lavoro esemplare è un sintagma che in pochi potrebbero azzardarsi ad accostare al nome di Fisher. La sua storia ai Rams racconta che per il quinto anno di fila concluderà la stagione con un record inferiore a .500 (7-8-1, 7-9, 6-10, 7-9, più l’attuale 4-8), come del resto gli è accaduto in 16 su 22 anni da head coach. L’ultima stagione vincente coincide anche con l’ultima apparizione ai playoff, quando i suoi Titans vinsero la AFC South col miglior record della conference, salvo poi venire battuti a sorpresa dai Ravens nell’AFC Divisional Game. L’ultima vittoria ai playoff invece risale addirittura al 2003, battuti al secondo turno dai Pats di Brady & Belichick. Tirando in ballo proprio il felpato per dare un’idea ancor più lampante degli insuccessi di Fisher, basti pensare che Bill Belichick non vince meno di otto partite a stagione dal 2000, quand’era al suo primo anno ai Patriots. E ancora, se dopo quella stagione del 2000 Belichick ha mancato i playoff solo in altre due occasioni, nello stesso lasso di tempo Fisher li ha raggiunti solo quattro volte in totale. Chiaramente il confronto è iniquo, visto che da una parte abbiamo uno dei più grandi allenatori di sport dell’umanità e dall’altra… no, ma a far riflettere è il fatto che, salvo il 2011, da 22 anni consecutivi coach Fisher è capo allenatore di una squadra NFL, pur fallendo la stagione quasi immancabilmente ogni anno. Ad altri allenatori non è concesso fregare il sistema meritocratico come Fisher, ma si vede che il baffuto coach nasconde santi in paradiso in quelle profonde tasche. Certo è che, continuando così, Fisher dovrà continuare a farsi da sé le classiche docce di Gatorade che i giocatori fanno al loro coach al termine di una stagione vincente.
PIRATI DEI CARAIBI – Nel corso della stagione ho provato, oltre che ad offrire panoramiche di temi e partite principali della settimana, a coprire in dettaglio alcune squadre in momenti chiave delle rispettive stagioni. I Chargers nella loro striscia sfortunata, i Raiders nella loro fase di decollo, i Browns coi loro demoni e i Vikings a più riprese, solo per citarne alcune. Mai avrei pensato di scrivere un pezzo a questo punto della stagione sui Tampa Bay Buccaneers ponendomi il seguente quesito: vinceranno la loro division? I Bucs hanno avuto una stagione kafkiana, partita bene con l’upset ai Falcons, a cui hanno però fatto seguito tre sconfitte di fila. Mentre gli Atlanta Falcons volavano sul 4-1, Jameis Winston faceva un’orribile imitazione del promettente QB visto l’anno prima e la difesa diventava oggetto di frizzi e lazzi, incassando 77 punti in 8 giorni contro Cards e Rams. Dopo il bye e la successiva W contro i Niners (che molti potrebbero equiparare ad una seconda bye week), Tampa cadde rovinosamente per due volte di fila, incassando contro Atlanta e Oakland 73 punti combinati. A 3-5 la stagione pareva andata, quand’ecco arrivare dal nulla quattro vittorie consecutive: se era prevedibile che a cadere sotto i colpi di Winston e soci sarebbero stati i Bears e, in misura minore, i Chargers, sorprendono le W ai danni di Chiefs e Seahawks, a maggior ragione poiché arrivate subendo solo 22 punti totali da due attacchi solitamente prolifici. Complice una NFC South putrida, Tampa si ritrova ora un po’ per caso a flirtare coi playoff. Come detto per i Lions settimane fa, in una stagione “normale” o quantomeno competitiva, una squadra che galleggia fra il 19° e il 25° posto in diverse statistiche difensive non dovrebbe avere licenza di sognare in grande. Dopo aver perso Vincent Jackson e Cecil Shorts per infortunio, TB rimane con Mike Evans come fonte principale di punti oltre a Winston, anche perché il run game resta ampiamente deficitario (3.6 YPG e solo 6 TD totali). Per quanto riguarda gli special team, il kicker Roberto Aguayo può dirsi tutto tranne che una certezza: scelto addirittura al secondo giro, con solo 15 FG a bersaglio su 22 tentativi (68.2%, peggiore in NFL) può dirsi una delle grandi delusioni del Draft 2016. Pick del prof: Atlanta vince tre delle prossime quattro gare, mentre i Bucs affondano in trasferta contro Cowboys e Saints. Ah, vi aspettavate un pezzo di lode su Tampa come il resto dei media?
IL CAMERON VESTE PRADA – In una stagione bella che andata, i Carolina Panthers hanno trovato un nuovo modo di far parlare di sé. Nell’imbarazzante esibizione contro i Seattle Seahawks del Sunday Night (40-7), ad iniziare la partita per gli ospiti è stato Derek Anderson e non il titolare, nonché MVP in carica, Cam Newton. Questo in virtù di una punizione imposta da coach Ron Rivera a causa di una violazione del codice di abbigliamento da parte del QB. Nello specifico, pare che Newton non indossasse camicia e cravatta come da regolamento interno durante la trasferta: da qui la decisione del suo allenatore di tenerlo fuori dal campo per la prima azione della partita. Peccato che proprio in quell’azione Anderson abbia lanciato un intercetto, che ha poi regalato i primi tre punti a Seattle e comportato un handicap iniziale da cui i già moribondi Panthers non si sono minimamente ripresi. Secondo coach Rivera nel gesto non ci sarebbero messaggi subliminali, poiché lo stesso codice avrebbe avuto effetto in passato già su altri giocatori, ma taluni potrebbero pensare che l’allenatore abbia deciso di tentare di raddrizzare la cultura del proprio spogliatoio. Già in molti hanno notato la macroscopica differenza di comportamento fra la Carolina vincente che si faceva beffa dei propri avversari, e quella perdente che prende molto male le sconfitte. Possibile dunque che l’head coach abbia deciso di normalizzare la situazione e mettere i suoi giocatori su binari ben precisi e più professionali, dentro e fuori dal campo? Senza una stagione da salvare, meglio cominciare la cura già da ora. Anche perché, se si trattasse davvero di fare solamente da Fashion Police, come mai nessuno ha mai detto nulla di questi altri look da emicrania istantanea di Newton?
BONUS TRACK
CLEVELAND C’È – Per la prima volta in stagione, i Cleveland Browns non hanno perso! Sì, ma non giocavano, direte voi. Vabbè, conta lo stesso.
MVProf