7 a settimana – week 11
Ogni settimana tratteremo sette spunti di riflessione più o meno seri donatici dalla National Football League
PATatrac – Nella già poco esaltante stagione che stanno vivendo i kicker della NFL, la week 11 ha segnato un nuovo record di futilità: sono stati ben 12 i PAT calciati, ma non realizzati. Il precedente record era di 10, numero peraltro replicato ben sette volte, ma mai più raggiunto dal 1985 ad oggi. Nonostante dopo il taglio di lunedì scorso Blair Walsh non sia più un giocatore NFL, il “morbo di Walsh” ha ormai contagiato svariati suoi ex-colleghi. A finire fuori dai (o sui) pali per ben due volte sono stati Mike Nugent (CIN) e Robbie Gould (NYG), seguiti dai singoli errori di Connor Barth (CHI), Matt Prater (DET), Jason Myers (JAX), Stephen Gostkowski (NE), Cody Parkey (CLE), Steven Hauschka (SEA), Dustin Hopkins (WAS) e pure Kai Forbath (MIN), il rimpiazzo di Walsh. Nel 2014, ultimo anno in cui gli extra point era un calcio di 17 yard, ne furono sbagliati otto in totale. Dal 2015 il regolamento è cambiato, portando il totale di yard a 33: come risultato furono sbagliati ben 71. Ad oggi, nel 2016 ne sono stati sbagliati 48, ben 18 solo nelle ultime due settimane. Seguendo il trend attuale, il numero di errori potrebbe avvicinarsi, se non addirittura superare quello dell’anno precedente. Pur cercando di non essere prigionieri del presente, bisognerà vedere se faranno prima i kicker ad adeguarsi o la NFL a modificare ulteriormente le regole.
ARRIVA LA CAVALLERIA – A questo punto della stagione, parlare di partite da vincere a tutti i costi è un enorme luogo comune, ma ciò non di meno quella fra Minnesota Vikings e Arizona Cardinals lo era a tutti gli effetti per entrambe le squadre. Se siete dei lettori attenti, avrete bene in mente quanta importanza avessi dato in passato al fatto che i Vikes potevano e dovevano trovare altri modi per produrre punti che non derivassero unicamente dal braccio di Sam Bradford. Il QB, che domenica ha chiuso un’altra prestazione pulita da 20 su 28 per 169 yard e 1 TD, ha trovato aiuto dall’intercetto riportato in TD per 100 yard di Xavier Rhodes e il kickoff return, anch’esso portatore di sei punti, di Cordarelle Patterson. Questi 13 punti (non 14, perché il nuovo kicker Kai Forbath ha sbagliato il secondo dei due PAT) da difesa e special team hanno fatto tutta la differenza per la truppa di coach Zimmer, che dal vincere 30-24 avrebbe forse perso 17-24, anche se lo sport mal ragiona con sottrazioni ed addizioni. Per quanto riguarda i Cards, il 36enne Carson Palmer non ha vissuto una giornata facile, colpito per ben 23 volte dal front seven vichingo e colpevole di due costosi intercetti. Il futuro Hall of Famer Larry Fitzgerald, nativo di Minneapolis ed ex ball boy per i Vikings, pur essendo stato il più prolifico dei ricevitori in maglia bianco-rossa, è rimasto a secco di TD, come pure nel resto della sua fantastica carriera ogni qual volta ha incrociato la squadra della sua città. Il 64enne Bruce Arians è stato trasportato in ospedale lunedì per dolori al petto e, con la stagione dei Cards ormai archiviata, il coach farebbe meglio a risparmiarsi ulteriori palpitazioni e tirare i remi in barca. Minnesota, dal canto suo, archiviata la striscia di quattro sconfitte di fila, si prepara giovedì a sfidare i Lions per la testa della NFC North.
ANDAMENTO LENTO – Ammettiamolo, per tre quarti di Los Angeles Rams – Miami Dolphins eravamo pronti a rimangiarci la parola – per quanto al limite del profetico – pronunciata settimana scorsa con quel “E se Miami…” Senza mezzi termini, la prestazione offensiva dei pinnati è stata indegna per 53 minuti: in 11 possessi Ryan Tannehill ha prodotto 10 punt e un intercetto, con 0-10 di conversione sui terzi down. Chiaro, con una linea offensiva ai minimi termini già orfana di Branden Albert e Mike Pouncey, oltre che del rookie Laremy Tunsil in corso d’opera, ha fatto fare un figurone alla D-line dei losangeleni, di cui va riconosciuta la solidità difensiva mostrata nel 2016: con 187 punti concessi sono a un solo TD di troppo rispetto all’ottima difesa dei Patriots. Il problema, semmai, risiede nell’altra metà della squadra di coach Fisher. Il traballante allenatore baffuto ha provato a scuotere le cose mandando in campo Jared Goff, prima scelta assoluta di quest’anno, la cui assenza era ancor più assordante viste le ottime prestazioni degli altri colleghi rookie Wentz e Prescott. Le differenze con Keenum non sono in realtà sembrate evidenti, in un certo senso confermando la prudenza di Fisher nel mandare nella mischia l’acerbo QB. Goff ha chiuso con 17 su 31 per 134 yard, senza particolari acuti (0 TD) né errori (0 INT). Assistito da una O-line che ha concesso un solo sack nel finale a Wake, Goff non ha dovuto strafare, anche aiutato dall’andamento lento della contesa. Quando però si è trovato a dover accelerare i ritmi negli ultimi minuti di gara, si è dimostrato ancora impreciso e inaffidabile. Ciò ha reso possibile una insperata rimonta di Miami, che negli ultimi due drive della partita ha prodotto tutti i punti della gara, prima con una maul rugbistica trasformata in TD da Landry, poi con una serie di rapidi passaggi sulla linea Tannehill-Parker, fino al passaggio decisivo in end-zone. Anche se coach Gase per primo non ha idea di come la rimonta si sia materializzata, i Dolphins tenteranno di prolungare di un’ulteriore domenica l’inerzia positiva che li ha visti vincere cinque partite di fila. Dopo aver regolato Chargers e Rams, ad attenderli saranno i 49ers, la terza squadra californiana in altrettante domeniche.
TORNA A CASA, BRADY – E a proposito dei San Francisco 49ers, la squadra di gran lunga meno in forma della baia ha osspitato i New England Patriots in un piovoso pomeriggio californiano. Più della partita in sé, la storia nella storia era il ritorno a casa di Tom Brady, nato e cresciuto a San Mateo, cittadina a una mezz’ora di macchina da San Francisco, e testimone a quattro anni di una delle giocate più iconiche della NFL. “Montana… looking, looking, throwing in the end zone… Clark caught it! Dwight Clark!… It’s a madhouse at Candlestick!” Musica e parole di Vin Scully, che sulla CBS annunciava quella che sarebbe passata alla storia come “The Catch.” I 49ers hanno ormai lasciato Candlestick Park e si sono trasferiti al Levi’s Stadium, ma questa in generale era la prima occasione per Brady di giocare davanti agli amici e i parenti che vivono dall’altra parte del paese. Il primo tempo, complice la pioggia, ha quasi livellato i valori in campo: il 13-10 per gli ospiti lasciava più di qualche speranza alla squadra di coach Kelly, che per 30′ ha assaporato l’upset più clamoroso del 2016. Nel secondo tempo il copione si è capovolto e la vera qualità delle squadre è emersa: a fine partita il tabellino di Brady dice 24 su 40 per 280 yard e 4 TD, equamente distribuiti fra Edelman, Amendola, Mitchell e White – circostanza ancor più significativa poiché verificatasi in contumacia Rob Gronkowsky. San Francisco continua ad imbarcare acqua da tutte le parti, fra una O-line che concede cinque sack e una secondaria che sarebbe una disgrazia anche a livello collegiale. Le due squadre non potrebbero essere dirette in direzioni maggiormente divergenti: mentre i Niners si litigano coi Browns la prima scelta del prossimo draft, i Pats continuano la loro scalata quasi indisturbata della AFC.
FORMAGGIO ALLA PIASTRA – I Green Bay Packers sono nel mezzo della peggior striscia perdente dal 2008 e la sconfitta 42-24 contro i Washington Redskins ha portato la serie di L consecutive a quattro, triturati come Pierre Garçon ha fatto a pezzi la testa di formaggio di un tifoso di Green Bay. Inizia il gioco di Indovina chi (viene licenziato)! Primo indiziato, di norma, è l’head coach, Mike McCarthy. Lo stesso coach si ha affermato che “Six losses puts your ass against the wall,” di fatto riconoscendo le proprie responsabilità. In sua difesa, va detto, parla la striscia di sette apparizioni consecutive ai playoff, alla pari dei Patriots. Secondo il linea è il defensive coordinator Dom Capers. I Packers subiscono 27.6 punti a partita di media, che in questa striscia perdente sono saliti a 38.8, 153 in 4 gare. Gli infortuni hanno decimato la secondaria, ma le prestazioni sono comunque non al livello di chi vuole restare in NFL anche il prossimo anno. Il carosello di “colpa mia? no, colpa tua” non ha risparmiato nemmeno l’uomo-franchigia, Aaron Rodgers. Egli si è sobbarcato la sua dose di critiche e i detrattori, dati alla mano, hanno le loro ragioni. Gli intercetti lanciati sono già 7, in linea per superare la soglia degli 11 totali, raggiunti per l’ultima volta nel 2010. La percentuale di realizzazione è 63.2: pur essendo leggermente più alta di quello dello scorso anno, quando già diede le prime indicazioni di una personale flessione, è quasi identica a quella registrata nella sua prima stagione post-Favre nel 2008 (63.6). Chiaro, il QB non può e non deve essere immune alle critiche, ma pur in un momento di flessione, l’attacco Packers con 247 punti prodotti è tra i primi della NFC, pur contando su un running game sostanzialmente pari a zero. Per quanto riguarda le statistiche su corsa, Green Bay è 20° per yard totali (1006), quartultima per tentativi e ultima per TD (3, tutti di Rodgers). Motivo principale la salute cagionevole di Lacy e Starks, al punto che Ty Montgomery è stato dovuto riadattare da WR a RB. Questo porterebbe a puntare il dito verso il GM Ted Thompson, incapace di trovare in free agency rincalzi di livello. Mercoledì il presidente formaggioso Mark Murphy si è detto deluso, ma non per questo pronto a far saltare le teste dei suoi sottoposti. La penserà così anche a fine anno?
GLI INOSSIDABILI LIONS – Pare che quest’anno non esistono modi normali per le squadre di avere un record di 6-4. I Texans si godono i vantaggi di una division oscena, quasi come i Falcons che hanno alternato grandi vittorie e grossi tonfi. I Vikings sono passati da 5-0 a 1-4, mentre i Dolphins da 1-4 a 5-0. Un branco di dilettanti, in confronto ai Detroit Lions. In ogni partita delle dieci disputate nel 2016 Detroit si è immancabilmente trovata a rincorrere all’inizio del 4° quarto e in ognuna di esse la partita si è decisa per 7 punti o meno. Garantito, il calendario della squadra del Michigan è assai magnanimo (nessuna delle prime 6 squadre incontrate ha un record superiore a .500 e solo metà delle avversarie rimaste ha un record vincente). Matthew Stafford sta vivendo una stagione con i fiocchi, inferiore solo all’élite assoluta dei Brady, Wilson e Brees. Egli sta guidando alla grande una squadra che ESPN aveva pronosticato potesse vincere meno gare degli sciagurati Bears e che in off season aveva anticipatamente dovuto salutare uno dei migliori WR della storia in Calvin Johnson. La buona notizia è che Marvin Jones Jr si sta dimostrando un’ottima acquisizione, insieme allo sviluppo dell’ex-Tar Heel Eric Ebron come tight end. Dopo un inizio di carriera in Michigan all’ombra di Megatron, Golden Tate aveva inizialmente faticato come prima opzione offensiva, con zero TD nelle prime 5 giornate, senza mai raccogliere la doppia cifra in target né più di 41 yard in ricezione. Dalla week 6 il cambio di rotta e ora è il gioiello più prezioso nella corona di coach Caldwell: di lui si ricorda il TD decisivo in week 9 contro i Vikings in overtime. Una precisazione però: la buona stagione dei Lions riflette alla perfezione la mediocrità della NFL versione 2016. Point differential di appena +6, difesa al 19° posto per sack e fumble causati, 20° per placcaggi e 21° per intercetti. In attacco, mentre le cifre individuali e collettive nel dipartimento terra-aria sono di medio-alto livello, la fanteria di terra è come inesistente. In quel reparto i Lions sono 28° in yard per tentativo, 29° in TD e 30° in yard totali e per partita. Domenica scorsa hanno sconfitto i Jaguars per 26-19 pur accumulando solamente 14 misere yard in 21 tentativi, ovvero 0.7 yard per tentativo. Normalmente, queste cifre non permetterebbero voli pindarici, ma in un anno di transizione lo scontro del giorno del Ringraziamento contro i Vikings sarà forse determinante nel determinare la vincitrice della NFC North.
FEEL GOOD STORY – Non farebbe tecnicamente parte di una rubrica sulla NFL, ma dalla NCAA giunge una storia di quelle più americane di una serata al drive-in con hotdog e Coca Cola. Joe Thomas Sr, padre del linebacker di Packers Joe Thomas Jr, a 55 anni è diventato (ufficiosamente) il più anziano giocatore a debuttare in una partita di football di Division I. L’uomo ha realizzato il suo sogno portando il pallone per 3 yard nel ruolo di running back per South Carolina State nella partita contro Savannah State. Per farlo ha dovuto aspettare le 55 primavere e vivere quello che lui stesso ha definito il giorno più felice della sua vita. “Continuate, come ho fatto io, a inseguire i vostri sogni. Non ascoltate chi vi dice che non potete trasformarli in realtà.” Titoli di coda, luci in sala.
MVProf